di Davide Gaeta
La presentazione dell’Annuario dell’Agricoltura Italiana ad opera del Crea del ministero dell’Agricoltura, sebbene riferito all’annata precedente alla pandemia 2019, è un appuntamento utile per fotografare il sistema agro-alimentare italiano nei suoi punti di forza e debolezza. La filiera allargata, dall’agricoltura fino al commercio e ristorazione, vale un sesto del Pil italiano, con più di 522 miliardi di fatturato. Scomponendo questo aggregato, nel 2019, la quota dovuta alla produzione agricola è stata di 57,3 miliardi, frutto del lavoro di 1,5 milioni di aziende agricole, non tutte produttive per il mercato; il 36% dichiara di avere rapporti saltuari di vendita e quasi un terzo delle imprese sono destinate all’autoconsumo. Solo il 27% vanta rapporti stabili con il mercato ma rappresenta il 75% della produzione complessiva. Predominano, con il 50%, le coltivazioni, mentre il 29% è rappresentato dagli allevamenti e la restante parte dalle attività di supporto.
Tra i dati forniti dall’Annuario vi sono diverse chicche interessanti. Le produzioni Dop e di qualità, per esempio, si confermano dinamiche con un valore di 17 miliardi (+4%). La crescita delle attività connesse all’agricoltura, oltre un quinto del valore della produzione agricola, con l’agriturismo in aumento (dati purtroppo 2019) del +3,3% in valore e +4,1% in numero di aziende. Le esportazioni che sono state ancora una volta motore dello sviluppo, cresciute del +0,8% in valore, a fronte di un -4,4% nell’import. Il direttore del Crea, Stefano Vaccari, ha definito l’agricoltura italiana la più ricca d’Europa come valore aggiunto sebbene su di una superficie agricola che è la metà di quella francese e spagnola; in sintesi ricca ma fatta da agricoltori poveri.
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