Lunedì 20 Maggio 2024
STEFANO BROGIONI
Cronaca

Il caso Liguria e l’ombra della talpa: "Non parlate al telefono, stanno indagando"

Un consigliere comunale a uno dei fratelli sotto inchiesta

Genova, 9 maggio 2024 – C’era una talpa che sapeva dell’inchiesta ligure? È un’ipotesi su cui lavorano gli investigatori della Finanza, coordinati dai pm Federico Manotti e Luca Monteverde, alla luce di quanto emerso dalle intercettazioni ambientali nel filone sui voti ’mafiosi’. È il 30 settembre 2020 quando i fratelli Arturo Angelo Testa e Italo Maurizio Testa, iscritti a FI in Lombardia e ora sospesi dal partito dopo l’arrivo degli avvisi di garanzia, vengono a Genova per incontrarsi con alcune persone della comunità riesina, ritenuta vicina al clan Cammarata. A quell’incontro si avvicina un uomo con la felpa e il cappellino. "Viene riconosciuto in Umberto Lo Grasso (consigliere comunale totiano). Che dice a Italo Testa: "Vedi che stanno indagando, non fate nomi e non parlate al telefono …. Stanno indagando".

Umberto Lo Grasso
Umberto Lo Grasso

In tutta risposta Italo Maurizio Testa afferma: "Sì lo so, non ti preoccupare …. L’ho stutato (spento in dialetto siciliano, ndr) ". Questo comportamento, scrive il giudice per le indagini preliminari Paola Faggioni nell’ordinanza, "appare in tal modo integrare il delitto di favoreggiamento personale, avendo il predetto – avvisando i fratelli Testa a non parlare al telefono essendo in corso indagini ("stanno indagando") – fornito un aiuto in favore dei predetti ad eludere le investigazioni a loro carico". Ma chi ha avvisato Lo Grasso? Un’ipotesi è che vi sia appunto una talpa visto che Stefano Anzalone, totiano anche lui e indagato, è un ex poliziotto che ha agganci tra le forze dell’ordine. L’altra ipotesi è che si possa trattare di una sorta di millanteria dello stesso Anzalone che dopo le elezioni voleva togliersi di torno i fratelli Testa e non onorare le promesse fatte in cambio dei voti.

La diga e i fondi Pnrr

Concessioni ottenute ma anche progetti per il futuro. Come la diga foranea, il maxi progetto finanziato dal Pnrr e dal fondo complementare (dal costo di 1,3 miliardi), portati avanti da Spinelli con l’appoggio del governatore Toti. Perché dietro alla concessione per le Rinfuse c’era il progetto di riconvertire il terminal caro a Spinelli in destinazione per container, seppur in contrasto con la delibera di concessione. L’idea, ricostruisce il giudice, "in previsione della realizzazione della nuova diga foranea, che incrementerà i volumi dei traffici di contenitori". Un piano che doveva rimanere segreto per "non suscitare la contrarietà e quindi l’ostruzionismo degli altri concorrenti attivi nel Porto di Genova" e che Toti aveva "messo a fuoco" tant’è che in una conversazione telefonica aveva affermato: "non ci crede nessuno che teniamo le Rinfuse per trent’anni…. ah ah ( ride)...ma non ci crede nessuno...neanche... ma neanche Pinocchio".