Ilaria Salis, a processo in Ungheria per lesioni personali, si sorprende della gentilezza degli agenti di polizia che adesso l’aiutano addirittura a spostare le borse dalla cella "con poca aria" fino al portone del carcere magiaro di Gyorskocsi Ucta. Basta "scarafaggi" e "punture di cimici". Da ieri è ai domiciliari, in una casa protetta di Budapest. "È molto provata, molto pallida, dopo 16 mesi fuori dalla civiltà", dice il papà Roberto arrivato con la moglie a sostenere la figlia."Deve rimettersi a posto fisicamente e poi entrerà a pieno titolo nella campagna elettorale – racconta il padre –. Una volta a casa ha fatto quello che aveva promesso di fare: ha mangiato una pizza ed è stato come vederla nascere una seconda volta". La 39enne insegnante e attivista monzese, ora candidata alle Europee con Avs, indossa una cavigliera elettronica. Ma i domiciliari sono "un successo enorme", ripete l’avvocato Gyorgy Magyar. "Molto soddisfatti" anche i colleghi Eugenio Losco e Mauro Straini che considerano "i domiciliari" in Ungheria solo un primo passo "verso la libertà". Anticipano il prossimo: lo stop "alle misure cautelari", o, in subordine, "la misura degli arresti in Italia come da norme Ue". E dicono di confidare "nell’impegno delle autorità italiane per ottenere l’immediato trasferimento".
Riemergono così, tra le righe, le accuse lanciate la scorsa settimana da Roberto Salis nei confronti del governo. Contrapposizione acuitasi dopo l’accoglienza personale di Giorgia Meloni al condannato per omicidio Chico Forti. "Vorrei vedere lo stesso impegno per far ritornare in sicurezza Ilaria Salis in Italia – dichiara la segretaria del Pd Elly Schlein –. Temiamo che il governo mostri il volto feroce con alcuni, a seconda delle simpatie politiche". Il vice premier Antonio Tajani non ci sta: "Noi continuiamo a fare il nostro dovere senza guardare a colore politico, razza, religione. Abbiamo permesso a Patrick Zaki di lasciare l’Egitto. Abbiamo liberato dai terroristi un’intera famiglia in Mali. Abbiamo portato in Italia Alessia Piperno che nelle carceri dei pasdaran rischiava molto di più, anche perché di religione ebraica, di quanto stia rischiando la Salis. Chico Forti è in Italia perché possa scontare l’ergastolo".
L’attivista monzese deve difendersi dall’accusa – che in Ungheria vale fino a 24 anni di carcere – di duplice aggressione a militanti di estrema destra il 10 febbraio 2023, in occasione del cosiddetto Giorno dell’Onore caro ai neonazi. Salis, che contesta gli addebiti, è accusata (in base a un filmato che ritrae aggressori a volto coperto) di due atti di violenza antagonista: uno contro un uomo in pieno giorno e un secondo di notte contro una coppia. Nessuna denuncia e prognosi contenute tra i 5 e gli 8 giorni, ma per i magistrati ungheresi si tratta egualmente di lesioni potenzialmente mortali.
Il caso mediatico esplode lo scorso 29 gennaio quando l’attivista appare al processo con catene e guinzaglio, e tramite il collegio difensivo rende nota una condizione carceraria durissima, fuori da ogni standard europeo. Opinione condivisa dalla Corte d’Appello di Milano che a fine marzo rifiuta l’estradizione in Ungheria del 23enne antifascista Gabriele Marchesi proprio per il rischio "di violazione di principi supremi" e "dei diritti inalienabili della persona" e per il "non senso giuridico" della scelta ungherese di gonfiare il reato di lesioni lievi (in Italia di competenza del giudice di pace) con la previsione di aggravanti e automatismi strumentali. L’esito giudiziario è una evidente mancanza di proporzionalità non solo nella detenzione cautelare ma anche nel profilo dell’imputazione. Il caso Salis si muove in queste dinamiche. Oggi terza udienza. Secondo l’avvocato Magyar, ci vorrà almeno un anno per andare a sentenza.