
Uno dei momenti dello sgombero a Roma (Ansa)
Roma, 27 agosto 2017 - La casa dicono, «si prende». Il fenomeno delle occupazioni è un fenomeno ormai endemico a Roma. Un cancro sociale reso possibile dall’inesistenza delle politiche per la casa e dal fatto che chi dovrebbe reprimerlo non ha l’indicazione di farlo ed effettua sgomberi episodici, con il risultato che secondo una stima che circola al Campidoglio ci sono oltre 120 palazzi e oltre un migliaio di appartamenti occupati da chi non ne ha alcun diritto e sui quali c’è chi campa, chi cerca e trova ‘spazi di lotta’ e chi lucra. Il pasticcio di via Curtatone - dove da quattro anni, sull’altro lato della piazza sorge il Csm, andava avanti una occupazione dell’ex edificio Ispra, nota a tutti ma evidentemente troppo grossa per essere interrotta - ne è un esempio.
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CONQUISTATO il palazzo grazie a un robusto contributo del Coordinamento cittadino per la casa – il palazzo è stato di fatto consegnato ai rifugiati e ai richiedenti asilo africani. «Un hub dei migranti, che si autorganizzavano e autofinanziavano» lo definisce un investigatore. I primi due piani erano stati abitati da circa 200-250 persone delle due etnie, gli altri venivano messi a disposizione sia dei migranti eritrei e somali di transito nella capitale che di altri migranti da loro ‘garantiti’. E, pare, non gratis. Polizia e Carabinieri hanno trovato ricevute, un computer che conterrebbe il libro mastro dei pagamenti e un sistema di ‘passi’ rilasciati a chi pagava. Tutto è stato girato alla Procura di Roma che ha aperto una inchiesta per capire se di racket si tratti. «È vero che pagavamo ma dieci euro al mese a famiglia, per fare le pulizie» hanno protestato ieri alcuni dei migranti. Ma in procura hanno relazioni di servizio che sembrano indicare una realtà diversa. Le ricevute sono infatti anche di venti o trenta euro e ai piani superiori c’erano delle unità immobiliari sia singole – camere con fornelletto da cucina, bagno e frigorifero – e altre simili a suite d’albergo per lunga permanenza, attrezzate di frigoriferi a doppia porta, tv a schermo piatto, divani, piccole cucine. Roba per la quale si ipotizza si pagassero una decina di euro il giorno o una cinquantina. Abbastanza per fare un paio di migliaia di euro al mese di utile. Da parte di chi? Era davvero un ‘rimborso spese’ per la pulizia come sostengono gli occupanti? Lo dirà l’inchiesta. Certo è che oltre all’autogestione dei palazzi occupati dagli immigrati come quello di via Curtatone – altri ce ne sono di simili, basti pensare all’ex palazzina dell’Inpdap di via Collatina 385 dove abitano almeno 600 migranti e il palazzo Enasarco di via Cavaglieri che ospitava la facolta di lettere a Tor Vergata dove ci vivono 6-700 migranti – di tipi di okkupazioni ‘alla romana’ ce ne sono almeno altre due.
Il primo è puramente legato alla criminalità. Ha radici nella case popolari di Tor Bella Monaca, Tufello, Primavalle, San Basilio, Val Melania e Corviale. Ed è un racket. Paghi 20-30 mila euro e tramite procacciatori trovi qualcuno che letteralmente caccia gli inquilini precedenti, li minaccia e ti dà la casa.
IL SECONDO tipo è quello delle associazioni di lotta per la casa. Fai la tessera, partecipi alle attività e più partecipi più ‘sali’ di graduatoria e quando c’è occupazione giusta, c’è uno spazio pure per te. In alcuni casi la gestione, in un contesto di illegalità, è più o meno trasparente, in altre molto meno. È passato alle cronache il caso di Maria Giuseppa Vitale detta ‘Pina’ tra i capi del Comitato popolare di lotta per la casa, che nel 2015 è stata rinviata a giudizio con altri 21 per aver pianificato e attuato una occupazione a via Terme di Caracalla nell’ex scuola Vespucci e nell’ex clinica San Giorgio «costringendo i bisognosi ad occupare – scrisse la procura di Roma – per poi estorcergli denaro o prestazioni lavorative gratuite». Non è il solo caso. Come non sono rari i casi di estorsioni tra gli stessi occupanti, e di tentativi di intrusione di altri potenziali okkupanti, contro i quali non a caso si picchettano gli ingressi. Homo homini lupus anche e soprattutto tra gli emarginati dei bassifondi di Roma.