
Cassino, 12 luglio 2024 – Tutti assolti. La sentenza di appello della Corte di Assise di Roma pronunciata oggi stabilisce che i Mottola non sono colpevoli dell’omicidio di Serena Mollicone, la 18enne trovata morta il 3 giugno 2001, legata mani e piedi, in un boschetto di Arce, a due giorni dalla scomparsa. Il processo vedeva imputati l'ex maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, per il quale l’accusa aveva chiesto 24 anni di carcere, la moglie Anna Maria e il figlio Marco (22 anni la richiesta per entrambi), già dichiarati innocenti in primo grado. Confermate anche le assoluzioni del carabiniere Vincenzo Quatrale e dell’appuntato Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento. “Sono molto amareggiata, questa non è giustizia”, ha commentato la sorella della vittima, Consuelo Mollicone. Per la difesa dei Mottola, invece, “giustizia è stata fatta due volte”.
La tesi della procura
Secondo la tesi della procura di Cassino respinta dal tribunale romano, Serena è morta dopo aver sbattuto la testa nella Foresteria della caserma di Arce, mentre discuteva con Marco Mottola, che lei avrebbe minacciato di denunciare per spaccio. Padre e madre si sarebbero occupati di occultare il corpo. Mollicone “è rimasta per molte ore in stato di incoscienza – ha detto il procuratore generale di Cassino durante il processo – dopo essere stata scaraventata contro la porta della foresteria della caserma dei carabinieri di Arce, prima di essere soffocata. Forse gli imputati hanno pensato che morisse da sola ma poi l'hanno dovuta finire con il nastro adesivo”.
Il delitto
Il 1 giugno 2001 Serena esce di casa presto, dopo avere preparato la colazione per il padre con cui vive da sola, dopo la prematura scomparsa della madre. Deve andare all’ospedale di Sora, per un’ortopanoramica ai denti e ha appuntamento col fidanzato ma non si presenta. Dopo qualche ora scatta l’allarme e partono le ricerche. Il 3 giugno Serena viene trovata morta, abbandonata sull’erba in un boschetto dell’Anitrella, solitamente usato per incontri con prostitute. Secondo l’accusa un tentativo di depistaggio da parte di chi l’ha uccisa o lasciata morire. Serena ha mani e piedi legati da nastro adesivo e fil di ferro e un sacchetto dell'Eurospin in testa.
Le indagini brancolano nel buio a lungo. Due anni dopo la morte di Mollicone, viene arrestato il carrozziere Carmine Belli, che si dice innocente. Verrà assolto in tutti e tre i gradi di giudizio: nel frattempo si è fatto 18 mesi di carcere.

Il suicidio del brigadiere
Nel marzo 2008, e cioè sette anni dopo l’omicidio, la svolta: il carabiniere Santino Tuzi mette a verbale di aver visto entrare Serena Mollicone nella caserma dei carabinieri di Arce la mattina della scomparsa. Un’ammissione estorta dagli inquirenti, secondo la difesa dei Mottola. Due settimane dopo Tuzi si uccide sparandosi un colpo di pistola al petto. La figlia al processo si dirà convinta del legame tra la morte del padre e la verità sul caso di Serena Mollicone: ''Sono certa che mio padre sapesse qualcosa e che era stato minacciato di ritorsioni nei confronti della famiglia'', dice Maria Tuzi.
Negli anni seguenti si susseguono colpi di scena e false piste. Nel 2009 un presunto testimone si palesa a Chi l’ha visto, con due due fotografie, che si riferirebbero ai momenti precedenti il delitto. Finisce tutto nel dimenticatoio. Nel 2011 vengono indagati dalla procura di Cassino quattro uomini e una donna: si tratta dell'ex fidanzato di Serena, Michele Fioretti e la madre Rosina Partigianoni (le loro posizioni vengono presto archiviate), l'ex maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, il figlio Marco e un altro carabiniere, Francesco Suprano. Ma le analisi genetiche e gli accertamenti tecnici non danno riscontri. Mancano le prove sul coinvolgimento dei sospettati.
All’archiviazione si oppone però la famiglia Mollicone: il gup del Tribunale di Cassino, Angelo Valerio Lanna, dispone il proseguimento delle indagini, indicando quale ''tema di approfondimento l'ipotesi investigativa dell'evento omicidiario all'interno della stazione dei carabinieri di Arce".
I Mottola a processo
L’inchiesta si conclude nel 2020 con la richiesta dei rinvio a giudizio per 5 imputati: Franco Mottola, il figlio Marco, la moglie Annamaria e il maresciallo Vincenzo Quatrale sono accusati di concorso in omicidio. Quatrale anche di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi. L'appuntato Francesco Suprano deve rispondere di favoreggiamento. Maria Tuzi, il padre e la sorella di Serena Mollicone e altri familiari della 18enne si costituiscono parte civile.

La prima assoluzione
Dopo vari rinvii, una lista di 200 testimoni e oltre 50 udienze le pm chiedono le pene per gli imputati: 30 anni per l'ex maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, 24 anni per il figlio Marco e 21 per la moglie Annamaria. Per il maresciallo dei carabinieri Vincenzo Quatrale la richiesta è di 15 anni e per l'appuntato dei carabinieri Francesco Suprano di 4 anni. Saranno tutti assolti, nel luglio 2022.

L’appello
Il processo di appello in Corte di Assise a Roma è cominciato lo scorso settembre. Nove mesi di udienze, 44 testimoni. I sostituti procuratori generali Francesco Piantoni e Deborah Landolfi hanno chiesto la condanna a 24 anni per l'ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, Franco Mottola, a 22 anni per il figlio Marco e per la moglie Annamaria. Per il carabiniere Francesco Suprano sollecitano quattro anni, dopo che l'imputato ha rinunciato alla prescrizione e per il collega Vincenzo Quatrale la richiesta è di assoluzione.
L’accusa: “Serena Mollicone come Marco Vannini”
I magistrati dell’accusa hanno paragonato il caso Mollicone a quello di Marco Vannini, – il 20enne deceduto, nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015, a Ladispoli -, "il giovane era ospite in casa della fidanzata quando viene ferito da un colpo di arma da fuoco sparato dal padre della ragazza (Antonio Ciontoli ndr) e poi lasciato morire senza chiamare adeguati soccorsi".
Marco Mottola “ha messo in pericolo la vita di Serena in un appartamento dove solo i Mottola potevano accedere e avevano l'obbligo di intervenire. Entrambi i genitori e lo stesso Marco avevano l'obbligo di prestare soccorso alla ragazza che era entrata nell'abitazione di cui solo essi avevano la disponibilità e ciò non hanno fatto, anzi hanno voluto nascondere quanto era successo per evitare conseguenze penali ai danni del figlio. In questo caso, hanno anche deciso di soffocare la ragazza e quindi di ucciderla deliberatamente, per poi far sparire il corpo ed ogni traccia”.
Franco Mottola è "la persona che ha tenuto il comportamento più grave perché era il comandante della stazione dei carabinieri e avrebbe dovuto prendere per primo le iniziative per evitare che questa ragazza morisse", ha detto il sostituto procuratore generale Deborah Landolfi nel corso della requisitoria.
Tutta questa ricostruzione non è stata ritenuta veritiera dalla Corte di Assise di Appello di Roma, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, come richiede la legge italiana.
Le reazioni alla sentenza
''Ho sempre detto che non c'entravamo niente''. Così Franco Mottola, ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano se con la sentenza sia stata fatta giustizia. Il figlio ha dato addosso ai reporter: "E' colpa vostra, avete creato voi questo incubo". Per la difesa dei Mottola, invece, “giustizia è stata fatta due volte”. Per la sorella della vittima, Consuelo Mollicone, invece “questa non è giustizia”. Dello stesso parere Maria Tuzi, figlia del brigadiere suicida. "Dobbiamo riprenderci da questa sentenza, in questi giorni ci relazioneremo con i nostri avvocati. La riflessione serve per ammortizzare questa delusione. Non c'è stata giustizia”.