"Scusi, va via?" Nei parcheggi siamo belve

Giorgio

Comaschi

Scusi, va via? Dal finestrino, col ditino alzato. Un classico. In qualsiasi punto del mondo saliamo su una macchina parcheggiata, dopo non più di dieci secondi, sentiremo un colpetto di clacson e vedremo qualcuno, in un’altra macchina, che ci chiede se stiamo andando via. A volte anche quando siamo appena arrivati, abbiamo parcheggiato e stiamo per scendere. Tac.

"Va via?". "Sì, vado via, ma a piedi", è la risposta, in quel caso. La gente è alla disperata ricerca di un parcheggio.

A volte il dialogo è soltanto mimato, a gesti, con tempi perfetti. Chi chiede se andate via, fa il movimento con la mano chiusa a scatto, da destra verso sinistra, due o tre volte. Significa "va via" nel linguaggio dei mestieri muti. La risposta è quasi sempre col ditino che si alza e si muove brevemente a tergicristallo.

Di solito lo si fa col sorriso beffardo, con un pizzico di crudeltà di chi detiene un potere e può decidere della tua vita. Chi riceve quella risposta, di solito sorride anche lui, ma si vede lontano un miglio che è un sorriso con un sottinteso chiarissimo: vai a quel paese o in altri luoghi un filino più scabrosi. Il mondo degli automobilisti è un mondo difficile, un mondo in cui il desiderio generale è che tu sparisca. La casistica comprende anche la bizzarra soluzione della domanda con successiva risposta affermativa, cioè il sì con la testa: "Sì, vado via", con immediata conseguenza che quello che ha detto che andava via in realtà non va via e sta lì un tempo infinito a controllare una chat su Whatsapp o a girare una fotina su Instagram. E lì si entra nel campo della bastardaggine quotidiana di gente che è in guerra. Altra cosa curiosa e misteriosissima: perché quando vi fermate due secondi in una strada deserta, davanti a un cancello, a un passo carraio o in seconda fila, ci sarà, dopo pochi secondi, qualcuno che deve uscire o che deve entrare? Si materializzano dal nulla. Ogni volta puntuali. Perché? E questa è materia per scienziati.