di Giulia Prosperetti
Dopo la proposta, poi naufragata, di innalzamento del tetto per i pagamenti con il Pos, è ancora polemica sulla visione digitale del governo Meloni chiamato ora a mettere ordine all’accelerazione imposta dall’era Covid. Sulla questione dell’identità digitale, così come sul fronte delle ricette elettroniche, la sfida ora è apportare le modifiche necessarie senza buttare al vento i progressi effettuati e garantendo, al contempo, la continuità di tali servizi nel periodo di transizione.
Chiesta a gran voce da medici, cittadini e opposizione, la proroga di un anno delle ricette elettroniche è stata approvata ieri dal Consiglio dei ministri che l’ha inserita nel decreto Milleproroghe. Introdotta con un’ordinanza della Protezione civile durante l’emergenza Covid, la misura – che consente ai medici di medicina generale di inviare la ricetta elettronica ai propri pazienti con email, sms o whatsapp senza bisogno di ritirare il promemoria cartaceo e ai cittadini di ritirare il farmaco comunicando solo il Nre – sarebbe scaduta il 31 dicembre. "La proroga della ricetta elettronica è un vero regalo di Natale, per pazienti e medici – ha commentato Filippo Anelli, presidente della Fnomceo –. Restituisce ai cittadini un pezzo di sistema sanitario efficiente che consente di poter andare in farmacia con lo smartphone per ritirare i farmaci o per eseguire una prestazione. Inoltre dà la possibilità al medico di ridurre la parte burocratica". Occorre, tuttavia, rendere questo provvedimento strutturale. "Si deve pensare a uscire da questa normativa emergenziale e – sottolinea Pier Luigi Bartoletti, vice segretario nazionale vicario della Fimmg – dare stabilità alla misura". Passi avanti – come spiega Andrea Lisi, presidente di Anorc Professioni – devono, inoltre, essere fatti per "evitare l’invio telematico di dati sanitari attraverso canali poco sicuri". Un’evoluzione del sistema che – evidenzia Cristina Patrizi, segretario dell’Omceo Roma – deve portare alla "dematerializzazione completa consentendo al paziente di indicare al farmacista il farmaco che è già presente sulla propria tessera sanitaria".
Più complessa la situazione per quanto riguarda lo Spid. Sebbene l’ipotesi di una semplificazione possa, a un primo sguardo, apparire allettante, non a torto l’abolizione dello Spid per puntare sulla carta d’identità elettronica ‘Cie’ come unico sistema di identità elettronica nazionale, annunciata dal sottosegretario di Stato all’Innovazione tecnologica Alessio Butti, ha fatto saltare sulla sedia gli addetti ai lavori. Per gli esperti, tale migrazione presenta, infatti, diverse criticità. Dopo 10 anni di messa a punto del sistema, uno stop dello Spid proprio nel momento della sua definitiva affermazione rischia, infatti, di rappresentare una marcia indietro per l’Italia.
"Più di 30 milioni di persone usano l’identità digitale Spid, diventata ormai la chiave di accesso ai servizi digitali delle Pa, spegnerla rappresenterebbe un’involuzione nella strada dell’innovazione" spiega il presidente di Fondazione Italia digitale Francesco Di Costanzo. Nel momento in cui è allo studio la proposta di Regolamento EIDAS2 sul portafoglio di identità elettronica europeo sarebbe, in sostanza, più logico apportare allo Spid le modifiche richieste, attivando il livello 3, piuttosto che perdere ulteriori anni ad adeguare la Cie. A non convincere è anche l’accentramento statale dell’intero archivio delle identità digitali: l’attuale sistema federato permette infatti di contenere i danni nel caso di un attacco hacker.