Venerdì 3 Maggio 2024

Ragazza italiana in cella a Teheran Il grido disperato: "Aiutatemi"

Trentenne, romana, da anni viaggia per il mondo. Ha telefonato in lacrime ai genitori. Si muove la Farnesina

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di Giovanni Rossi

"Sono in carcere a Teheran". La blogger romana Alessia Piperno piange al telefono. "Poche parole ma disperate", certifica il padre Alberto. La 30enne nomade digitale, al sesto anno lontano da casa, è in stato di fermo dal 28 settembre, giorno del suo compleanno. La drammatica richiesta di aiuto arriva in un lampo alla Farnesina. E via Facebook all’Italia intera. "Questa ragazza è Alessia Piperno, ed è mia figlia. È una viaggiatrice solitaria, gira il mondo per conoscere usi e costumi dei popoli. Si è sempre adeguata rispettando le tradizioni e, in certi casi, gli obblighi, di ogni paese visitato. Erano quattro giorni che non avevamo notizie, dal suo compleanno, il 28 settembre", scrive il padre, libraio al Tuscolano, in un post poi rimosso.

L’arresto di un figlio? Un’enormità per qualsiasi genitore. Addirittura un macigno se le porte del carcere si spalancano in Iran, nelle settimane della protesta studentesca per la morte della 22enne Mahsa Amin – pestata dalla polizia ’morale’ per velo fuori posto – e della sanguinosa repressione in atto: almeno 133 morti sotto i proiettili di Pasdaran, polizia e miliziani Basij. Il clima di rivolta sociale arma il regime in una fanatica caccia allo studente. È la consueta paranoia sui "disordini istigati dall’Occidente". E il fermo in carcere di altri otto giovani provenienti da Germania, Francia, Olanda, Polonia e Svezia, testimonia l’assoluta delicatezza del momento. Teheran gioca duro. "Ci siamo subito mossi con la Farnesina, abbiamo chiamato l’ambasciata italiana a Teheran. Ma ancora non sappiamo niente, neanche il motivo della reclusione", denuncia il padre. La definizione di una linea diplomatica efficace richiede notizie sicure. La mancanza di un’accusa ufficiale ad personam rende il caso particolarmente scivoloso. Perché il rischio di addebiti strumentali, nel clima asfissiante della repressione in corso, non è da scartare. La dizione cumulativa utilizzata dalle autorità per i nove europei arrestati – partecipazione diretta alla rivolta o presenza nello sfondo delle azioni di protesta – lascia infatti margini individuali tutti da esplorare, in un senso o nell’altro.

Alessia è arrivata in Iran due mesi e mezzo fa, proveniente dal Pakistan. È stata anche in Kurdistan, meta notoriamente sgradita al regime. Forse è a questo punto del viaggio che potrebbe essere stata notata. Lei o i suoi post. Scrive: "Questa terra mi ha accolto a braccia aperte. È vero, non è stato sempre facile, ma dopo due mesi e mezzo mi è entrata dritta, dentro e profonda nel cuore". Pensa a Mahsa Amini: "Sarei potuta essere io, o la mia amica Hanieh, o una di quelle donne che ho incontrato durante questo viaggio". Continua: "Hijab in Iran è sinonimo di governo". Solidarizza: "Ogni donna deve privarsi della femminilità, per non rischiare di finire in prigione, o peggio, di essere frustata 70 volte". Ammette: "La decisione più saggia" sarebbe partire, ma "non riesco".

"È curiosa del mondo, non è una rivoluzionaria, non fa parte di movimenti, non è politicizzata", dice Jessica Ciofi, 46 anni fiorentina, psicologa del terzo settore, che l’ha incrociata in un ostello a Kashan. "Alessia, torna a trovarci, tu di certo non puoi aver fatto male a nessuno", ordina Suor Paola, insegnante al linguistico San Giuseppe del Caburlotto dove la travel blogger si è diplomata. Alessia è anche nei pensieri di Giorgia Meloni, probabile candidata premier: "Rivolgiamo tutta la nostra vicinanza alla sua famiglia e ai suoi cari". "Auspichiamo il massimo impegno della Farnesina per ottenere la scarcerazione", alza la voce Amnesty International. E il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, subito offre rassicurazioni dai "più alti livelli". Impegno che la Farnesina rinnova in serata direttamente al papà di Alessia, Alberto, ricevuto dal d.g. per gli italiani all’estero, Luigi Maria Vignali, che gli garantisce ogni necessaria assistenza consolare nell’auspicio di una rapida soluzione del caso.