Sabato 4 Maggio 2024

Quelli che speculano sulla pandemia "Lo Stato vuole proprio farsi fregare"

Rimini, maxitruffa sugli aiuti alle imprese colpite dalla crisi sanitaria: frode per 440 milioni di euro, 78 indagati

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di Lorenzo Muccioli

Da una parte c’erano gli imprenditori onesti, messi in ginocchio dalla pandemia. E poi c’erano loro. Che al telefono avevano la faccia tosta di dire: "L’inizio del Coronavirus ha portato bene". Almeno "economicamente". Di sicuro per il loro portafogli l’emergenza sanitaria era stata un vero toccasana, facendo saltare fuori dal cilindro la bellezza di 440 milioni di euro in crediti di imposta, introdotti dal governo con il Decreto rilancio proprio per aiutare privati e aziende colpiti dalla crisi. Dai cassetti fiscali delle imprese quei crediti passavano direttamente alle loro tasche, riconvertiti in soldi contanti, ma anche lingotti d’oro, criptovalute, conti correnti e contratti di proprietà di immobili e ristoranti. Era un meccanismo oliato alla perfezione quello messo in piedi da un’associazione a delinquere (così, almeno, l’ha definita la Procura) specializzata in frodi su Sismabonus, Bonus Facciate e falsi crediti di locazione.

Sono 78 gli indagati (tre di loro percepivano anche il reddito di cittadinanza) nell’ambito dell’operazione ’Free Credit’, che all’alba di ieri ha fatto scattare 80 perquisizioni in tutta Italia, da Milano a Rovigo, passando per Barletta, Napoli e Salerno, anche se la base operativa del gruppo era a Rimini, da cui partivano le direttive ai 22 prestanome e alle 116 aziende coinvolte. L’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Paolo Gengarelli e condotta dai militari dal nucleo di polizia economico-tributaria della Guardia di Finanza, ha portato a 8 misure di custodia cautelare in carcere nei confronti di imprenditori, ristoratori, albergatori e commercialisti. Quattro le persone finite ai domiciliari, mentre per altre 20 è scattata l’interdizione da attività imprenditoriali. Eseguiti sequestri per quasi 14 milioni di euro, grazie anche al fiuto dei cash-dog (cani antivaluta) della Guardia di Finanza, che hanno scoperto il contante nascosto in alcuni trolley.

Le accuse sono di associazione per delinquere, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (così riqualificato dal gip rispetto all’ipotesi della procura), autoriciclaggio, impiego di denaro e beni per utilità di provenienza illecita. La frode messa in piedi dagli indagati sfruttava alcune falle nel sistema di compravendita dei crediti di imposta (in particolare alcune criticità legate alle cessioni multiple, bloccate di fatto dal Decreto Ristori-Ter). Erano diventati così bravi e veloci, da riuscire a svolgere tutte le procedure in pochissimo tempo, meno di quello che serviva a "una mangiata di panzerotto".

Quando si parlava di denaro, d’altra parte, il loro appetito non aveva limiti. "Sono diventato uno squalo" ammette candidamente un imprenditore nelle intercettazioni agli atti della Procura. Quella dei bonus edilizi era una torta troppo golosa per non accaparrarsene una fetta. D’altra parte, dicevano al telefono, "lo Stato italiano è pazzesco, è una cosa... vogliono essere fregati praticamente..." Come prestigiatori, i componenti del sodalizio erano capaci di far comparire dal nulla cifre da capogiro. Anche "cinquanta milioni di crediti" in appena "quindici giorni". Dei maghi lo erano per davvero, i 78 indagati, anche nel far sparire il denaro all’estero. Tanto da non sapere più "dove andare ad aprire i conti correnti in giro per il mondo". Il primo passo da compiere era reperire società ormai decotte. A quel punto il legale rappresentante delle società veniva sostituito con un prestanome, da cui ottenere le credenziali per poter inserire le comunicazioni di cessione crediti nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle entrate.

In fase di comunicazione, venivano dichiarati canoni di locazione per immobili non abitativi superiori al reale (persino oltre il 260.000 per cento) oppure lavori edili mai iniziati, dalla ristrutturazione delle facciate a interventi anti-sismici. Il credito di imposta così ottenuto veniva quindi ripulito, cedendolo ad altre società controllate dal solidalizio, e poi monetizzato attraverso la messa in vendita a soggetti terzi, che inconsapevolmente potevano usarlo scalandolo dalle tasse. Gli introiti venivano in seguito investiti in attività come negozi o ristoranti, trasferiti su carte di credito ricaricabili o in conti correnti all’estero (Cipro, Malta, Portogallo), oppure riconvertiti in lingotti d’oro e criptovaute. Tra i casi più eclatanti, c’è quello di un soggetto che aveva dichiarato crediti di locazione per oltre 9 milioni di euro, a fronte di un contratto dal valore di appena 3.500 euro.