Venerdì 18 Luglio 2025
ANDREA GIANNI
Cronaca

Omicidio per le cuffiette. Condannato a 27 anni. Il pm ne aveva chiesti 20

In aula è stato fatto ascoltare l’ultimo audio di Manuel prima di essere ucciso. La rabbia della famiglia per l’esclusione di aggravanti da parte della procura. La mamma della vittima dopo il verdetto: deve scontare tutta la pena in carcere.

Daniele Rezza portato in tribunale per il processo di primo grado

Daniele Rezza portato in tribunale per il processo di primo grado

Nel quantificare la pena la pm, magistrato in tirocinio alla Procura di Milano ai suoi esordi in aula con un caso di omicidio, ha chiesto anche di "considerare la giovane età e il contesto in cui è cresciuto" Daniele Rezza, ossia la città di Rozzano, alle porte di Milano, tra "violenza cronica" e un "codice di comportamento consueto in zone di periferia". Ha dipinto un ragazzo "smarrito", che quella notte "uscì di casa in uno stato di disorientamento", senza una famiglia in grado di costituire un "punto di riferimento", concludendo la requisitoria con la richiesta di condannarlo a vent’anni di reclusione, con le attenuanti generiche ed escludendo tutte le aggravanti, anche quella dei futili motivi.

La Corte d’Assise di Milano, presieduta da Antonella Bertoja, ha stabilito però una pena più alta, 27 anni di carcere, per il ventenne che la notte tra il 10 e l’11 ottobre dell’anno scorso uccise con una coltellata il 31enne Manuel Mastrapasqua, che tornava a casa a Rozzano dopo il turno di lavoro al supermercato, portandogli via un paio di cuffie dal valore di 14 euro. I giudici hanno applicato la continuazione tra i due reati (rapina e omicidio volontario) e hanno escluso una delle tre aggravanti contestate, ossia il nesso teleologico tra l’omicidio e la rapina. E hanno riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti alle restanti due aggravanti, quella dell’aver agito in orario notturno e quella dei motivi abietti e futili. Per i familiari di Manuel, parti civili con l’avvocata Roberta Minotti, sono state riconosciute provvisionali, come anticipo sul risarcimento, tra i 70mila e i 150mila euro.

Un’udienza che si è aperta con il deposito di una toccante lettera che la madre di Manuel, Angela Brescia, ha voluto indirizzare ai giudici. "Non vivo, sopravvivo perché ho altri due figli", scrive. Ritrae un ragazzo "gentile, educato e rispettoso", che "ha rinunciato all’università" per lavorare e aiutare economicamente la famiglia, ma "leggeva e si informava, studiava il giapponese da solo". "Oggi vivo non accettando quello che è successo", prosegue. Un’esistenza "fingendo" che Manuel sia ancora vivo "perché altrimenti potrei perdere il controllo". Invoca "giustizia, mio figlio quella sera tornava a casa e ha incontrato quel delinquente". In aula il suo sguardo ha incrociato quello di Rezza, che dopo il delitto si era confidato con il padre e aveva tentato una maldestra fuga fino all’arresto in Piemonte, nell’ambito delle indagini dei carabinieri coordinate dalla pm Letizia Mocciaro. "Deve trascorrere tutti questi 27 anni in carcere – afferma la madre – ma so che non sarà così, perché siamo in Italia".

Michael Mastrapasqua, fratello minore di Manuel, spiega, riferendosi alla parole della pm sulla necessità di considerare il "contesto sociale" in cui è cresciuto Rezza, che "anche io sono cresciuto a Rozzano senza un padre, però non ho mai fatto niente. Non ho mai preso come scusa il fatto di essere a Rozzano per fare certe cose". L’avvocata Minotti, prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, ha fatto ascoltare in aula due file audio. Il primo messaggio vocale fu inviato alle 2.15 da Manuel alla fidanzata, Ginevra. Esprimeva l’idea che "il tempo scorre", spiegava alla ragazza di essere sceso prima dal mezzo pubblico che aveva preso per tornare a casa da Milano a Rozzano dopo il lavoro perché "mi scappava la pipì". Il secondo alle 2.56, subito dopo l’accoltellamento. Manuel prese il telefono e cercò disperatamente di chiedere aiuto, registrando un messaggio che non riuscì a inviare. "Amore, ti prego, ti amo", è la sua frase prima della morte. Poi il silenzio, mentre lo smartphone continuava a registrare.