Venerdì 19 Aprile 2024

Noi, la malattia, l’eutanasia. Non più alieno ma "cancro gentile". Michela Murgia sdogana un altro fine vita

La scrittrice confessa di avere un tumore incurabile: il dibattito sull’accettazione del male. E apre uno squarcio sui diritti: mi sposo ora perché chi mi vuole bene sa cosa deve fare

Michela Murgia (Ansa)

Michela Murgia (Ansa)

"Se la storia fosse insegnata a scuola anche dalla parte dei vinti, apparirebbe evidente che mentre gli uomini facevano scale dove giocarsi la guerra gerarchica che ispirava ai cantori le epiche, le donne facevano reti per sopravvivere insieme dove ciascuna da sola sarebbe morta. Quel patrimonio di esperienze esiste e può diventare prassi comune sia per le donne sia per gli uomini che vogliono passare dall’idea di essere potenti uno contro l’altro all’idea di essere potenti insieme", scriveva Michela Murgia in un suo saggio di qualche tempo fa, Futuro interiore. E morirà così, tra qualche mese, la scrittrice nata 50 anni fa, il 3 giugno del ’72, a Cabras, nell’abbraccio di una rete sociale potente d’amore che lei chiama la sua queer family, una famiglia elettiva di una decina di persone. In un’intervista di ieri al Corriere della Sera, la Murgia ha raccontato di avere un tumore, un carcinoma renale al quarto stadio, non operabile, con le metastasi "che sono già alle ossa, ai polmoni e al cervello". Le restano mesi, "forse molti".

Nell’intervista annuncia anche l’uscita del nuovo romanzo Tre ciotole che si apre con la notizia di un male incurabile, e l’intenzione di sposarsi. Sposerà "un uomo, ma poteva essere una donna", dice: "Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni, ma non mi sto sposando solo per consentire a una persona di decidere per me". E, sul momento della fine, precisa: "Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa. Chi mi vuole bene sa cosa deve fare. Sono sempre stata vicina ai radicali, a Marco Cappato". Una dichiarazione pro-eutanasia, l’eutanasia che era il tema del suo romanzo più famoso, Accabadora, Campiello 2010.

La militanza in favore dei diritti degli ultimi, dei vinti, dei “marginalizzati“, come li ha sempre chiamati lei, o delle Morgane libere, coraggiose e perseguitate, si può esprimere in tanti modi, e il modo più toccante in cui Michela la esprime ora sta nell’aggettivo che utilizza parlando del suo male. Il tumore lo chiama "gentile". Lo accoglie. Lo include. "Non mi riconosco nel registro bellico, parole come lotta, guerra, trincea... Il cancro è una malattia molto gentile. Può crescere per anni senza farsene accorgere. È un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto o l’alieno".

L’alieno lo chiamava combattendolo con rabbia, nel 2006, Oriana Fallaci. Carrère in Vite che non sono la mia (2009) riporta la teoria dello psicanalista Pierre Cazenave secondo la quale per alcune persone il cancro "è l’espressione estrema di un’infelicità preesistente. Qualcosa che fa parte della loro identità e che viene da molto lontano, dall’infanzia, dalla consapevolezza di non essere mai esistiti veramente". "Complice della mia complessità" è invece per la Murgia. E viene in mente Ada D’Adamo e il suo memoir Come d’aria, il racconto del tumore che l’ha portata via ad aprile, a 55 anni. Anche D’Adamo arriva a trovare nella tragedia un’occasione d’amore: la possibilità di “incorporare“ nel suo male, il male terribile che affligge la figlia, finalmente viverlo e capirlo, e poi “disciogliersi“ in esso, in lei. "Nella malattia rivelo tutto il mio essere. Nella malattia mi sviluppo, cresco come un fiore, trovo la mia vera vita" ha scritto Kafka. "Io sono nient’altro che la cura che faccio" scriveva Severino Cesari: "E non sono solo nel farla. La cura presuppone l’esercizio quotidiano dell’amore. Non c’è altra vita che questa ora, questa vita meravigliosa che permette altra vita".

La malattia ci definisce: nell’odio, nell’amore. Nella verità. La Murgia e Dio: "Ci credo. Lo prego di far accettare a chi mi ama quello che mi accadrà". Paura della morte: "No. Spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio... L’importante per me ora è non morire fascista", chiude Morgana. "L’abbraccio e tifo per lei. Spero davvero che lei riesca a vedere il giorno in cui non sarò più Presidente del Consiglio perché punto a rimanere ancora per molto tempo. Forza Michela!", è la risposta della premier.