Giovedì 18 Aprile 2024

No, il diritto a manifestare è più importante

Lorenzo

Guadagnucci

T

utte le rivoluzioni sono avvenute per strada, da quella francese – di cui siamo figli – in poi; e anche in democrazia è nelle strade e nelle piazze che hanno preso forza i grandi processi di trasformazione, ma anche di difesa delle istituzioni messe sotto minaccia: pensiamo alle marce per i diritti civili guidate da Martin Luther King, o alle strade di Parigi piene di gente all’indomani della strage islamista nella redazione di Charlie Hebdo. Le grandi piazze e le vie dell’identità cittadina e i luoghi fisici del potere – il Municipio, le sedi di governo e parlamento – sono i luoghi naturali del conflitto: è lì che ci si mostra e ci si conta, è lì che si esibiscono le proprie ragioni. È questo il sale della democrazia: senza protesta, senza libero accesso a tutti i luoghi pubblici, senza la piena facoltà di manifestare opinioni e dissenso, avremmo democrazie dimezzate, ridotte a pura tecnica elettorale.

Le ragioni del dissenso e i modi di manifestare possono non piacere; gli impedimenti al movimento e al normale corso del commercio sono reali, ma il piatto della bilancia che pesa di più è l’altro, quello del pieno diritto a manifestare e di farlo nei luoghi del potere o nelle loro adiacenze. E non vale sostenere che minoranze di cittadini – quelli che partecipano alle manifestazioni – così “tengono in ostaggio” le maggioranze che non partecipano, perché le democrazie hanno ragione d’esistere proprio in quanto tutelano le minoranze; se non lo fanno, o non lo fanno fino in fondo, diventano qualcos’altro. È una strada sulla quale è bene non incamminarsi.