Venerdì 18 Luglio 2025
NINO FEMIANI
Cronaca

"Na tazzulella ’e cafè" anche per l’Unesco

La Campania candida la bevanda simbolo a patrimonio dell’umanità. Da Eduardo a Pino Daniele: rito celebrato tra cinema, teatro e canzoni.

Se Pasquale Loiacono lo avesse saputo, ne avrebbe parlato di certo con il professor Santanna al quale, poco prima, aveva esaltato il rito del caffè, con un monologo che costituisce la parte più indimenticabile di ‘Questi Fantasmi’ di Eduardo De Filippo. "Io, per esempio, a tutto rinunzierei tranne a questa tazzina di caffè, presa tranquillamente qua, fuori al balcone, dopo quell’oretta di sonno che uno si è fatta dopo mangiato. E me la devo fare io stesso, con mani", rivelava candidamente Pasquale-Eduardo al suo confidente.

Ora anche l’Unesco potrà riconoscere che il caffè espresso napoletano è un capolavoro di umanità e convivialità e, come già è successo per l’arte dei pizzaiuoli napoletani, includerlo nel patrimonio immateriale dell’umanità. La Regione Campania, a firma del presidente della giunta, Vincenzo De Luca, ha inviato all’agenzia Onu il dossier che avvia l’iter per l’inserimento del ‘caffè espresso napoletano’ in questo novero, facendolo diventare il decimo della lista che già include tradizioni espressioni viventi dell’identità delle comunità. Ne fanno già parte la falconeria, la dieta mediterranea, l’arte dei liutai di Cremona, i pupi siciliani. Tocca al caffè entrare in questa élite italiana. È un riconoscimento che ci fa capire come non parliamo solo di una bevanda, di una ‘tazzulella’ che, per dirla alla Pino Daniele, è la soluzione finale di tutti i contrasti: ‘S’allisciano, se vattono, se pigliano o’ cafè’. No, l’espresso napoletano è un pezzo della cultura della città, un modo universale di condividere passaggi della propria vita e consolidare legami.

In pochi si sono sottratti all’ufficio del caffè. Il Presidente Cossiga, ad esempio, teneva le sue picconate mattutine al caffè Gambrinus, aperto davanti al Palazzo Reale di Napoli. Ciampi e Napolitano consideravano scaramantico iniziare l’anno allo stesso bar per sorbire il caffè. Bere un espresso napoletano è un rito. Un complesso di formule, spesso segrete, divide i mille baristi della città. Qualche tempo fa una trasmissione di Rai3 fece le pulci al caffè napoletano sostenendo che non era all’altezza. Fu un guanto di sfida. Da allora sono nati a Napoli decine di bar dove il caffè è diventato una procedura religiosa in cui si intrecciano chicchi di altissima qualità a tecnicalità sopraffina. Oro nero. "Meglio bersi 5 caffè di alta qualità che 10 con un retrogusto di rancido", è la filosofia del ‘Caffè del Professore’. Un’esperienza sensoriale che mette insieme gusto e colore. La cosa più difficile? – diceva Eduardo De Filippo dal suo balconcino – Indovinare il punto giusto di cottura, il colore… A manto di monaco…. . Color manto di monaco. Una discussione che diventa contesa filosofica, seduti ai bar del centro antico dove ci si dà appuntamento di lavoro o d’amore. Napoli è riuscita con il tempo a impadronirsi di un prodotto, che, dal punto di vista economico, è il più scambiato al mondo dopo il petrolio. Lo ha fatto con furbizia, ma anche con un amore esagerato per questa bevanda diventata cult popolare nel 1819 quando arrivò nelle case la ‘coccumella’, la caffettiera napoletana (in realtà disegnata da un francese Morize) che distillava il caffè per percolazione (prima si bolliva), trattenendo così tutti gli aromi.

Chiacchiere e affari, ma non solo. Anche solidarietà. A Napoli c’è l’usanza del caffè sospeso, un rito della Seconda Guerra Mondiale. I clienti sono soliti pagare due tazze di caffè: uno per sé e uno per chi non può permetterselo.