Giovedì 25 Aprile 2024

Matteo Boe, un gregge per l'ex bandito che tagliò l'orecchio a Farouk Kassam

L'incredibile storia tra sequestri, evasioni e 25 anni di galera

Il cantautore Gigi Sanna (sinistra) con Matteo Boe (Ansa)

Il cantautore Gigi Sanna (sinistra) con Matteo Boe (Ansa)

Modena, 19 agosto 2018 - Lo sguardo profondo e affilato come una lama è rimasto quello della gioventù spavalda, fatta di armi, fughe, nascondigli nella boscaglia, sequestri di persona, evasioni clamorose. Un duro, con un carattere forgiato nella roccia della Barbagia. Mai un pentimento, mai un’ammissione, sullo sfondo di un orgoglio d’acciaio che ha permesso a Matteo Boe, il bandito dagli occhi di ghiaccio, natali a Lula in Sardegna, ex studente di Agraria a Bologna, di scontare in carcere 25 anni senza vacillare. Schiena dritta, sempre. Dentro si è tenuto tutto ciò che sa del rapimento del piccolo Farouk Kassam, figlio di un facoltoso albergatore, e degli altri sequestri. Nel bene, ma più nel male, Matteo Boe, 59 anni, ha sempre saputo cadere e rialzarsi. E adesso, dopo la scarcerazione avvenuta un anno fa, riparte da casa sua, a Lula. Dove tutto cominciò. L’ ex primula rossa dei sequestri di persona, fa il pastore, grazie ad un gesto di solidarietà arcaica, tipico della Sardegna, che si chiama "Sa paradura". È il modo con cui il mondo pastorale si mobilita e aiuta gli amici. Un anno fa i pastori sardi andarono in Umbria a donare un gregge ai colleghi che avevano perso tutto sotto le macerie delle stalle devastate dal sisma. Oggi tornano nell’isola le agnelle nate dalle pecore della solidarietà. Andranno anche qui agli allevatori in difficoltà. E una parte, 15 capi, è andata a Matteo Boe, che nel suo stile, in silenzio, ringrazia.

Dice Gigi Sanna, cantore della Sardegna profonda e leader degli Istentales: "Matteo Boe ha pagato i conti con la giustizia e la sua isola gli offre una possibilità". È il ritorno alla terra madre del bandito - leggenda, protagonista di una vita che ha attraversato l’epopea dei rapimenti e la vicinanza all’estrema sinistra, forse mutuata già negli ambienti del Dams di Bologna dove conobbe la futura moglie Laura Manfredi, modenese, sua complice nell’evasione più folle della storia carceraria italiana. Come Papillon, nel film interpretato da Steve Mc Queen. Era il 1986 e Boe stava scontando 16 anni nel carcere dell’Asinara per il rapimento di Sara Niccoli. Una notte, sfidando le rocce e la paura, si gettò in mare da una scogliera con un compagno di cella e di avventure, Salvatore Duras. Sotto c’era ad aspettarlo Laura su un gommone. Un perfetto amore criminale. Fuggì in Sardegna, poi in Corsica, dove lo riacciuffarono nel 1992, tradito dalla voglia di riabbracciare Laura e i tre figli. Durante la latitanza, trovò il tempo di rapire l’industriale De Angelis e il piccolo Farouk Kassam, entrambi in Costa Smeralda. Era spietato e inflessibile, quando c’era da raggiungere un obiettivo. A Farouk tagliò un lembo di orecchio per convincere la famiglia a pagare il riscatto. Accadde poco prima della liberazione, avvenuta con una misteriosa e mai chiarita mediazione dell’altro celebre bandito di Sardegna, Graziano "Grazianeddu" Mesina.

Chissà cosa pensa ogni mattina all’alba Matteo Boe quando si alza e raggiunge il gregge. Non lo confesserà mai a nessuno. Chissà quanto pesa nel secondo tempo della sua vita la tragedia, ancora oscura, della figlia. Nel 2003 Luisa, 14 anni, fu uccisa da un colpo di fucile sul balcone di casa. Un delitto senza colpevoli. Si indagò su un possibile movente passionale, ma sfumò, si parlò di uno scambio di persona con la moglie. Nulla. Boe, sottovoce, attribuì il delitto alla vendetta tardiva per uno dei sequestri. Ma il mistero resta. Come in una tragedia greca lo scempio di Luisa è diventata una storia in musica, "Pro uno frore", che gli Istentales narrano nelle piazze. Lo faranno anche il 29 agosto a Nuoro. Dicono che Matteo Boe voglia tornare nell’oblio.

Eppure il suo nome rimane legato a quello degli altri banditi che davano corpo all’Anonima sarda: Graziano Mesina, Miguel Atienza, Mario Sale, Attilio Cubeddu, Giovanni Farina, uniti da una etnia che si sgrana fra le forre della Barbagia e dell’Ogliastra. Tutti tacciono, tranne Annino Mele, diventato scrittore grazie all’editore Carlo Delfino. È uscito da sei mesi e oggi gira l’Italia presentando un libro scritto anni fa in carcere: Sa grutta de sos mortos, la grotta dei morti. Dentro ci sono i sentimenti di coloro che in Sardegna, per senso di riscatto o per il bene comune, decidono di farsi giustizia da soli.