"Mi trattano da mostro", come una straniera "tumulata viva" dietro le sbarre, anche se "io mi sogno sempre libera in giro per mari, monti e città, ma alla mattina al risveglio sulla mia branda devo fare i conti con la realtà". Affida alle pagine sofferte di un diario il ricordo delle prime settimane degli oltre dodici mesi di detenzione in Ungheria Ilaria Salis, la 39enne insegnante antifascista accusata di lesioni gravi per l’aggressione lo scorso anno di due neonazisti nella terra dell’ultraconservatore Orban.
"In questura mi gridavano ’Viva il duce’", nello scritto, reso noto in esclusiva dal Tg3, la donna rievoca il momento del trasferimento all’interno del penitenziario di Budapest dove le altre detenute "mi scrutano a distanza come se fossi una creatura strana. Forse per gli stivali bizzarri, forse perché i media locali mi hanno trasformato in un mostro sbattuto in prima pagina e mi precede una sinistra fama di ‘flagello dei nazisti’, o forse semplicemente perché sono straniera".
A gennaio le immagini della militante antifascista, originaria della Brianza, condotta al guinzaglio nel tribunale di Budapest, in occasione dell’avvio del processo, scossero l’opinione pubblica e indussero la Farnesina a chiedere il rispetto dei diritti umani. Da quel momento l’attenzione anche internazionale sul caso è stata forte. Troppo per il governo magiaro, nonostante l’esecutivo italiano abbia sempre ribadito di rispettare la sovranità di un Paese terzo. Ungheria compresa. "È sorprendente che dall’Italia si cerchi di interferire in un caso giudiziario ungherese – ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri, Péter Szijjártó–. Questa signora, presentata come una martire in Italia, è venuta in Ungheria con un piano chiaro per attaccare persone innocenti nelle strade come parte di un’organizzazione di sinistra radicale". La replica ferma della Farnesina: "Nessuna interferenza".
Netto con Budapest anche il padre della 39enne che in più di una circostanza ha precisato di nutrire idee politiche diverse dalla figlia. "Dobbiamo chiedere al ministro ungherese cosa intende per ‘martire’ – dice Roberto Salis, nella fiaccolata di solidarietà ieri a Milano –. Se intende una persona torturata per 35 giorni, certo Ilaria è una martire". L’uomo ha poi confermato di aver "trovato una soluzione per i domiciliari di Ilaria in Ungheria". Un’ipotesi, ancora molto remota. Per il momento Salis resta dietro le sbarre, sola con il suo diario di antifascista.