Domenica 5 Maggio 2024

"L’Italia risparmia sui controlli Ma la manutenzione è decisiva"

Gianpaolo Rosati, perito del ponte di Genova: sicurezza messa in secondo piano se ci sono di mezzo i soldi

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di Enrico Dallera

La tragedia della funivia Stresa-Mottarone costata la vita a 14 persone, oltre al bimbo di 5 anni ricoverato in ospedale, deve avere un perché. Gli investigatori sono al lavoro: le certezze sono la rottura della fune traente e la mancata entrata in funzione del sistema di sicurezza a ganasce, che avrebbe evitato la caduta della cabina. "In questa fase è importante avere cautela. Con la fretta si rischia di fare ulteriori danni", dice l’ingegnere Gianpaolo Rosati, ordinario di Tecnica delle costruzioni al Politecnico di Milano, già consulente della procura di Genova nell’indagine sul crollo del Ponte Morandi.

Professor Rosati, qual è la sua prima impressione?

"Dare risposte definitive adesso è impossibile. Sicuramente si è spezzato il cavo traente, dalle immagini emerge con chiarezza che quelli portanti sono integri. Periti e tecnici devono cristallizzare le prove e studiare la situazione. Non solo la scena del disastro, credo sia fondamentale ispezionare anche le stazioni a monte e a valle. Saranno necessari sei mesi di verifiche".

Cavo traente o portante, quali sono le differenze?

"Il cavo traente ha il diametro di un orologio da polso, è formato da fili intrecciati di acciaio. Quello portante, invece, è molto più grosso, ha una forma cilindrica e una superficie liscia per permettere alle ruote di scorrere".

Cosa potrebbe aver causato la rottura del cavo?

"Le ipotesi sono diverse. La diminuzione della resistenza, dovuta a elevati livelli di corrosione dei materiali, è un motivo plausibile. Oppure la fune potrebbe aver ceduto nei punti più delicati, dove ci sono gli attacchi del carrello che traina la cabina. Ma non solo, c’è da considerare la possibilità del cedimento per le troppe sollecitazioni. Il cavo scorre su due grandi ruote: se quella a valle dovesse bloccarsi, l’impianto a monte continuerebbe a tirare fino a strappare tutto. Ma esiste anche un ulteriore scenario".

Quale?

"Ad esempio che l’impianto sia scarrellato dal cavo portante. In quel momento il traente si romperebbe e i freni, che agiscono proprio sulle funi portanti, non potrebbero intervenire. Questa è l’ipotesi più remota".

A proposito di freni, perché non sono entrati in funzione?

"Un sensore potrebbe non aver funzionato a dovere. Oppure un guasto al sistema di sicurezza, sarà importante capire se l’impianto era idraulico o elettromeccanico".

Eppure gli ultimi controlli risalgono a novembre-dicembre 2020.

"Qui entra in gioco il fattore umano, che di solito pesa tantissimo nelle cause degli incidenti. Nel mondo della meccanica esistono direttive specifiche sulle verifiche. Abbiamo una cultura radicata, basti pensare ai piani e libretti di manutenzione. C’erano già negli anni Sessanta, soprattutto per quanto riguarda il settore automotive e gli aerei. Purtroppo va detto che quando c’è di mezzo l’aspetto economico, la sicurezza rischia di passare in secondo piano. Tutti noi dobbiamo farci un esame di coscienza e capire che le disgrazie possono capitare".

Incidenti che appunto accadono in impianti datati come quelli italiani.

"Dalle funivie ai viadotti, la maggior parte delle opere è stata costruita almeno 50 anni fa. I manufatti sono stati progettati per durare 100 anni, ma senza adeguate manutenzioni il loro ciclo di vita si abbassa. È inaccettabile aspettare una tragedia per poi dare il via ai controlli. Penso che tante strutture in Italia non siano a posto e presentino pericoli".

Cosa si dovrebbe fare?

"Bisogna avere il coraggio di chiudere e mettere in sicurezza le opere. Salvare vite umane è un obbligo morale".

Lei ha lavorato all’indagine sul Ponte Morandi, la presidente del comitato Ricordo Vittime ha detto che "la tragedia della funivia non è un caso". Cosa ne pensa?

"Ho il timore che possa proprio essere così".