Giovedì 2 Maggio 2024

Libano, Cisgiordania e Sud-Ovest. I tre fronti che minacciano Israele

L’analista: "Tel Aviv proverà a blindarsi per evitare altri blitz terroristici e si concentrerà su Gaza"

Roma, 10 ottobre 2023 – Cinque fronti. Gaza, la Cisgiordania, il fronte interno, il confine con il Libano e il Golan. Le forze di difesa israeliane hanno altrettanti dossier, ma dopo l’attacco di Hamas – del tutto inatteso in quelle forme e in quella ampiezza – la loro attenzione sarà concentrata su due fronti: Gaza e il terrorismo interno, mentre si tengono pronte per un terzo fronte, quello libanese, che però è ritenuto meno probabile e che non sarà sicuramente aperto da Israele se non, come è stato fatto ieri, in maniera selettiva e in risposta a incursioni e lanci di razzi. Così la pensano anche molti analisti, anche nel nostro Paese.

Libano, Cisgiordania e Sud-Ovest. I tre fronti che minacciano Israele
Libano, Cisgiordania e Sud-Ovest. I tre fronti che minacciano Israele

"Il nemico è Hamas. Il nemico è a Gaza, e io non credo – osserva Alessandro Marrone dell’Istituto Affari Internazionali – all’apertura di un fronte in Cisgiordania, al di là di scontri di piazza e dell’azione di qualche gruppo isolato. Questo sia per non disperdere le proprie forze, sia per non indebolire l’Autorità palestinese, già debole di suo. Ritengo che Israele si concentrerà sul fronte interno, per blindarsi da altre incursioni terroristiche in profondità, e naturalmente su Gaza". "Israele ha bisogno di dare una lezione ad Hamas e quindi penso – prosegue Marrone – che non si ponga limiti nel suo intervento a Gaza. Deve dare un segnale di forza e quindi un attacco di terra viene in queste ore considerato dallo stato maggiore israeliano. Il punto è: che tipo di attacco? Con quali obiettivi concreti? Credo che una decisione non sia stata ancora presa e che valutazioni attente siano in corso".

"Un attacco di terra in aree urbane densamente popolate e ostili come quella di Gaza – sottolinea Marrone – presenta parecchi problemi, si presta ottimamente a imboscate e attacchi asimmetrici, come ben vide Tsahal nel 2006 quando entrò nel sud del Libano per rispondere agli attacchi di Hezbollah. Sono passati 17 anni e le forze armate israeliano hanno fatto progressi, ma come abbiamo visto, anche quelle di Hamas. Il problema di Israele è che alcuni obiettivi possono essere raggiunti con l’aviazione o con l’artiglieria, altri no. E quindi, se opterà per un’azione di terra, specie se in profondità, sa che ci sarà un alto prezzo da pagare".

Pur non escludendo nulla in un quadro complesso come quello attuale, l’analista dello Iai non crede invece all’apertura di un fronte nord da parte di Hezbollah. "Al momento – osserva – Hezbollah esprime solidarietà e dal sud del Libano è comunque partita una incursione di Jihad islamica che ha provocato una reazione di Israele e già domenica c’è stato un limitato scambio di colpi di artiglieria tra Hezbollah e Israele. Il punto è che Hezbollah, pur facendo parte dello stesso schieramento iraniano, ha una sua autonomia. L’attacco di sabato è stato un successo di Hamas, non di Hezbollah e se la milizia sciita entrasse in guerra a fianco di Hamas lo farebbe comunque nella sua ombra. Ha poco interesse a farlo".

Marrone ritiene ancora più improbabile un attacco diretto di Israele contro l’Iran. "Uno strike, poniamo, contro i siti nucleari iraniani – osserva – è molto improbabile perché porterebbe a conseguenza difficilmente prevedibili e potenzialmente gravi. Israele quindi, pur convinta delle responsabilità iraniane, si concentrerà sulla sua priorità, che è ridurre il più possibile la minaccia che viene da Gaza".