L’ex priore di Bose disobbedisce a Francesco Ma il pugno duro del Papa disorienta i fedeli

Era l’icona della chiesa progressita, ora Enzo Bianchi si rifiuta di lasciare il monastero per andare in Toscana. La punizione del pontefice

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di Lucetta

Scaraffia

Un papa come Francesco, che ha la fama di progressista, interviene con severità per punire un’icona del cattolicesimo progressista italiano, Enzo Bianchi. È un ulteriore segnale di disorientamento per i cattolici, non solo quelli italiani, ai quali del resto rimangono celate le vere ragioni di tanta severità.

Che un fondatore sia una figura carismatica difficile da gestire, che rinunci con difficoltà al potere sulla sua creatura, non sono certo ostacoli imprevisti nella storia della vita religiosa, e sono state sempre superati all’interno della comunità da lui fondata, con maggiore o minore facilità a seconda dei personaggi coinvolti. Persino quando si trattava di santi.

Nel caso di Bose un osservatore esterno ha l’impressione che un elefante – in questo caso il Vaticano – sia entrato nella cristalleria, mandando in frantumi molti pezzi. Lo stesso ricorrere a uno psicologo come se si trattasse di un conflitto matrimoniale – anche quando si scelgono sfide spirituali alte e le si perseguono con coraggio e sacrificio – appare come minimo sconcertante. Chi conosce Bose sa che tutte le persone coinvolte – dal fondatore alle sorelle e ai fratelli – sono persone di alta cultura e di viva profondità spirituale, affinata in anni di vita coerente vissuta alla luce dei vangeli. Ridurre i conflitti a logiche di dominio e di rifiuto del padre mi sembra una operazione meschina.

Conosco Bose personalmente, amo questo monastero che si trova in un luogo molto bello e viene mantenuto nella sua armonia naturale e artistica dal lavoro infaticabile di sorelle e fratelli. Lì ho passato momenti di felicità partecipando alle liturgie, che mi hanno improvvisamente svelato la loro funzione e la loro bellezza, ho passato ore di silenzio assaporando la spiritualità intensa che emana quel posto, che trasmettono quelle persone. Ho conosciuto sorelle e fratelli straordinari, spesso coltissimi e allo stesso tempo semplici e allegri, che ti sanno ascoltare e aiutare senza quasi che uno se ne accorga, che ti guardano e vedono chi sei. Amo chi negli anni ha dato la vita per costruirlo: dal fondatore, che ha avuto il coraggio di seguire il suo slancio profetico e di realizzarlo, ai tanti fratelli e sorelle che l’hanno edificato con la loro paziente fatica quotidiana e fanno sì che rimanga quel punto di riferimento spirituale che è stato da sempre.

Proprio per questo non mi piace l’elefante che con pubbliche ammonizioni – che si riferiscono a Bose come se fosse un monastero come tanti altri – ha ferito, spero in modo non irreparabile, l’immagine di questo posto, e che di fatto ha esasperato i conflitti, aumentando la pesante dose di sofferenza che comunque tensioni interne di questo tipo comportano. Non sono pochi quelli che in questi anni hanno invidiato il successo di Bose, il numero crescente di nuovi monaci, l’amicizia di intellettuali importanti non solo cattolici, la fortuna mediatica di Enzo Bianchi, e che oggi gioiscono. Senza pensare che è un grave danno per la Chiesa, una perdita per tutti i cattolici il fatto che sia stato così gravemente messo in discussione uno dei pochi luoghi vivi, attraenti e creativi della vita religiosa attuale.

Le gerarchie ecclesiastiche, sempre così caute nel trattare gli scandali, questa volta sono andate con la mano pesante e soprattutto hanno dato una pubblicità enorme al caso, senza preoccuparsi del danno che questo poteva procurare ai fedeli. Un altro mito abbattuto, avranno pensato in molti che non conoscono personalmente questa esperienza e che, dopo queste notizie, non hanno nessuna voglia di conoscerla.

Ma in questo caso non si tratta di un mito, bensì di una realtà vera e radicata, un seme evangelico che ha dato – e che può continuare a dare – grandi frutti, e del quale abbiamo molto bisogno.

Le sorelle e i fratelli di Bose stanno lavorando – nonostante la sofferenza che vivono e le difficoltà quotidiane che la situazione attuale, aggravata dall’epidemia, loro impone – perché nulla del lavoro spirituale di cinquant’anni vada perduto, perché il tesoro che hanno costruito per donarlo a chi lo chiedeva rimanga vivo e attivo per noi. Facciamo loro sentire, nel silenzio, la nostra gratitudine.