Industria 4.0, addio alle tute blu: largo ai super-tecnici

La rivoluzione digitale impone figure nuove con competenze informatiche e meccaniche. Ma i diplomati dagli Istituti tecnici non bastano: è un ‘mismatch’ che penalizza le aziende italiane

Industria

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Roma, 21 maggio 2018 - "In Italia in un anno negli Its si diplomano circa 10mila ragazzi, in Germania 800mila. È questa una delle chiavi di lettura del differenziale tra opportunità per tecnici specializzati e disponibilità di figure professionali adeguate". Il flash è di Alessandro Ramazza, presidente di Assolavoro, l’Associazione delle Agenzie per il lavoro. E racconta della causa di uno dei colli di bottiglia più stretti per la ripresa economica del Paese: la mancanza di quei profili professionali (periti, tecnici, ingegneri, esperti informatici, economisti, manager dell’innovazione, ma anche operai super-specializzati) che le imprese, uscite dalla lunga crisi, cercano invano.

Il risultato è il classico paradosso italiano: disoccupazione giovanile alle stelle, soprattutto al Sud, grande caccia al personale introvabile nelle aree più dinamiche del Paese: Nord-Est, Emilia, Lombardia. Con l’effetto di una semi-paralisi degli investimenti e delle potenzialità di espansione, perché non si individuano figure capaci di far girare gli ultimi macchinari o controllare via iPad l’attività dei robot.

L’ultimo report del sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere in collaborazione con l’Anpal, prevede che, nei prossimi 5 anni, ci sarà un’elevata richiesta di professioni legate a Industria 4.0. Su 2,5 milioni di nuovi occupati (di cui 780mila laureati), nel privato e nel pubblico, oltre il 70%, ossia 1,8 milioni, dovrà possedere competenze specialistiche nelle discipline tecniche e in quelle Stem (science, technology, engineering, maths). Oggi, però, più di un’offerta di lavoro su tre per laureati in ingegneria, matematica, fisica, chimica rischia di rimanere vacante. E non va meglio quando si cercano diplomati dagli istituti tecnici.

"Le imprese sono affamate di talenti per Industria 4.0, ma non li incrociano – insiste Giovanni Brugnoli, vice presidente di Confindustria con la delega per il capitale umano –. L’indagine da noi svolta ha riguardato 5 settori-chiave per l’Italia: la meccanica, l’agroalimentare, la chimica, la moda e l’Ict. Tenendo conto del saldo tra pensionamenti e diplomati dagli istituti tecnici, il gap previsto per i prossimi 5 anni è di 280.000 super-tecnici che la nostra manifattura non riuscirà a trovare". Ma quali sono i profili più rari e ricercati?

"Un nostro recente policy brief – avvisa Stefano Sacchi, presidente di Inapp, l’Istituto nato sulle ceneri dell’Isfol – mostra come tra le 10 professioni cresciute maggiormente siano identificabili 3 gruppi riconducibili ad attività con elevata intensità tecnologica e organizzativa: specialisti dei rapporti con il mercato, tecnici della produzione manifatturiera, analisti e progettisti software". Gianni Potti, presidente di Confindustria Servizi innovativi e tecnologici, incalza: "La figura ideale del supertecnico di Industria 4.0 dovrebbe avere competenze di ingegneria gestionale, di economia, It e digitali".

Ma perché mancano? Imprenditori e analisti individuano nel sistema formativo la causa primaria del mismatch tra domanda e offerta. Nel mirino l’istruzione tecnica. "I nostri Istituti tecnici superiori – spiega Sacchi – che formano competenze di alto livello tecnico e in connessione con le imprese, sono eccellenti, con esiti occupazionali molto elevati (l’80% dei diplomati trova lavoro). Ma gli Its sono pochi e, a volte, con un’offerta di competenze non totalmente adeguata alle necessità delle imprese". "Serve – conclude Brugnoli – con urgenza un ponte tra scuola e lavoro, accompagnato da un sistema di orientamento scolastico. Facciamo sentire ai nostri ragazzi e ai loro docenti il profumo della fabbrica".