Roma, 28 gennaio 2024 – "Non mi sembra ancora vero, il carcere è sempre duro, soprattutto per chi non ha fatto nulla – sono state le prime parole di Beniamino Zuncheddu, rilasciate in esclusiva al programma radio ’L’attimo fuggente’, una volta tornato a riassaporare la libertà a pieni polmoni –. Se andrò a trovare quelli che mi condannarono? No, anche perché la maggior parte di loro è in cielo. O forse all’inferno. Io non provo rancore”. L’ex allevatore, innocente da sempre ma assolto solo l’altro ieri, “per non aver commesso il fatto”, dopo 33 anni trascorsi in carcere per un errore giudiziario, ha confidato di non essersi mai ravveduto dietro le sbarre in quanto non colpevole del triplice omicidio – consumatosi nel 1991 a Sinnai, nel Cagliaritano, quando era 27enne – ascrittogli con sentenza passata in giudicato prima del processo di revisione. Si sentiva come “un uccellino in gabbia, senza la possibilità di fare niente”, ha aggiunto il 59enne in una conferenza stampa organizzata nella sede del Partito radicale, a Roma.
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Ci sono record difficili da sopportare sulla propria pelle. Incubi che, anche una volta dissolti, rischiano di manifestarsi per il residuo di vita finalmente libera, ancora da scrivere. Ne sa (e ne dovrà saper qualcosa) suo malgrado l’ex allevatore sardo, il 59enne Beniamino Zuncheddu, condannato in via definitiva all’ergastolo da innocente e assolto l’altroieri, al termine di un faticoso processo di revisione davanti alla Corte d’appello di Roma, dopo trentatré anni d’ingiusta detenzione per triplice omicidio. Nessuno come lui in Italia, un primato che non si augura neanche al proprio peggior nemico. La priorità ora per l’uomo è voltare pagina. Almeno provarci, perché, come sottolinea il professor Renato Ariatti, psichiatra forense con all’attivo svariate perizie per danno biologico dovuto a errore giudiziario, "Zuncheddu deve fare i conti con una perdita, un lutto lungo trentadue anni. Che nessuna ripazione pecuniaria potrà mai restituirli".
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Ma alla fine ripartire si può, professore?
"Adesso per lui la vita comunque riprende e, come sappiamo, c’era anche la possibilità che non ricominciasse più. A 59 anni si è in un’età in cui è possibile avere una qualche progettualità residua, si ha ancora l’occasione di gustare la vita andando anche ai cento all’ora. Tuttavia, è facile immaginare che l’ex allevatore si trovi in una condizione tale da riconoscere piena cittadinanza emotiva a sentimenti di rivalsa e rancore".
Per il momento Zuncheddu dice di non provare nulla di simile... .
"Una volta libero, è fisiologico che prevalgano in lui l’entuasiamo e la gioia di tornare alla normalità. Il cono d’ombra potrebbe palesarsi fra qualche tempo, anche se, dopo 33 anni di ingiusta detenzione, questa persona in carcere avrà già sperimentato la depressione e imparato a gestirla a suo modo".
C’è la possibilità che giunga a covare un qualche desiderio di vendetta?
"Bisogna intendersi su che cosa definiamo con questo termine. L’ipotesi che possa compiere gesti eclatanti contro chi l’ha ingiustamente condannato, se non è mai da escludere in toto, fortunatamente resta marginale, considerando almeno le prime parole e le espressioni di Zuncheddu dopo la sentenza. Se invece ci si rifà ad un desiderio di riparazione pecuniaria nei confronti dello Stato per ingiusta detenzione, trovo che questo sentimento sia possibile e legittimo. I soldi almeno lo aiuteranno a ripartire".
Come cambia, dal punto di vista psicologico, una persona costretta a restare in cella da innocente?
"Come ho verificato nel corso della mia esperienza clinica in casi analoghi, pur se non così eclatanti, gli esiti di certe detenzioni non mancano. E si concretizzano principalmente in un senso di sfiducia e diffidenza diffusi, in uno stato d’allerta permanente, anche qualora non si abbiano sintomi evidenti di patologie psichiatriche".
Se la sente di dare un consiglio a Zuccheddu?
"Il mio auspicio è che, qualora se la sentisse, possa mettere la sua esperienza a servizio di gruppi di sostegno per chi ha vissuto situazioni simili alla sua".