Impiccato. Come le altre vittime della repressione. Diversa l’accusa: spionaggio. Ieri in Iran è stato giustiziato Alireza Akbari, un cittadino anglo-iraniano. Non un personaggio qualsiasi. Aveva lavorato come viceministro della Difesa, durante l‘amministrazione del riformista Khatami, e per la sua salvezza avevano lanciato appelli sia la Gran Bretagna, che gli Stati Uniti. Il regime teocratico lo accusava di aver fatto la spia per conto del Regno Unito. La sua esecuzione, secondo alcuni analisti, rappresenta anche un messaggio politico, in un momento molto teso per la Repubblica islamica, dopo quattro mesi di proteste anti-governative e l‘aggravarsi dello scontro con l‘Occidente, per il suo sostegno alla Russia nella guerra in Ucraina.
Akbari, 61 anni, era stato condannato per "corruzione sulla terra e danni alla sicurezza interna ed esterna del Paese con la trasmissione di informazioni di intelligence", secondo quanto reso noto dall‘agenzia della magistratura iraniana Mizan Online. Le autorità non hanno, però, specificato quando o dove è avvenuta l‘esecuzione. Il suo caso è stato a lungo circondato da riserbo: non è neppure esattamente chiara la data del suo arresto, secondo i media locali, è avvenuto tra il marzo 2019 e il marzo 2020, con l‘accusa di essere una "spia chiave" dell‘MI6, l‘agenzia di intelligence britannica; un‘accusa che la sua famiglia ha sempre negato.
Il primo ministro britannico, Rishi Sunak, si è detto "sconvolto" dall‘esecuzione, definendola un atto "crudele e codardo". Londra ha subito sanzionato il procuratore generale iraniano e convocato l‘ambasciatore di Teheran nel Regno Unito. La stessa cosa ha fatto, poi, anche la Repubblica islamica, mentre Parigi ha avvertito che "le ripetute violazioni del diritto internazionale da parte dell‘Iran non rimarranno senza risposta".