di Federico Di Bisceglie
Bomba atomica, dritta nello stomaco. Parafrasando Max Pezzali, suonerebbero più o meno così le parole di Alessandra De Fazio, presidente del Consiglio studentesco dell’Università di Ferrara all’inaugurazione dell’anno accademico. Teatro comunale di Ferrara gremito. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in prima fila assieme alla ministra all’Università, Anna Maria Bernini. "Sono un fallimento, non merito di vivere – inizia la studentessa assestandosi gli occhiali e scandendo le frasi –. Queste parole sono uscite dalla stessa bocca della persona che sta parlando di fronte a voi. Le ha dovute sentire e subire mia madre quando dopo il test di medicina ho percepito di non avercela fatta, per la seconda volta. Siamo bombardati dal mito della performatività e da una competizione illogica che ci sbatte in faccia i successi degli altri e ci fa tirare un sospiro di sollievo quando qualcuno fallisce al posto nostro. Non siamo più disposti ad accettare senso di inadeguatezza, depressione o perfino suicidi a causa delle condizioni imposte da un sistema malato che baratta la persona per la performance".
La domanda rimane sospesa in una sala che rumoreggia. Il discorso della presidente del consiglio studentesco è già un caso prima di essere pronunciato. È un’accusa senza esclusione di colpi a tutto il sistema universitario. E gli studenti delle altre associazioni (De Fazio è in quota Link), manifestano in piazza denunciando di "non essere stati coinvolti nella stesura del documento". Ma torniamo alle parole della studentessa. De Fazio cita lo storico Alessandro Barbero per la sua invettiva contro il merito. O meglio contro le borse di studio che rappresentano "un ricatto". "Se tutti abbiamo lo stesso diritto – prosegue – perché qualcuna dovrebbe essere costretta a tenere tempi più serrati solo perché più povera? Nel sistema attuale – chiude – le università promuovono l’illusione di garantirci pari strumenti, attraverso corsi di studio e studentati. Nella realtà accedere a questi servizi è molto complesso a causa di sbarramenti soprattutto meritocratici".
Il discorso dal piglio pugnace e politicamente orientato viene parzialmente riequilibrato dalla rettrice Laura Ramaciotti che, oltre a rivendicare "grandi passi avanti" sul versante della de-tassazione degli studenti (a proposito di welfare studentesco), sottolinea "l’orgoglio di Unife di essere un’università pubblica" e poi i risultati sul Pnrr, il piano di assunzioni per il personale tecnico-amministrativo. Dal canto suo Sergio Mattarella spiega che le università "in tutto il mondo sono chiamate a elaborare riflessioni adeguate alle condizioni che abbiamo, ai mutamenti che ci sono. Questo è il mondo che hanno i giovani davanti e le università devono aiutarli a interpretare e governare". Diversi i richiami al discorso del professore emerito di Unife, Patrizio Bianchi, che ha parlato poco prima. La sua lectio, che doveva essere su Copernico, si è trasformata in un discorso di attualità legato alle migrazioni e al calo demografico. "Ci sono dati demografici inquietanti, nel nostro Paese – così Bianchi – L’età media è di 48 anni: viviamo molto di più, ma non abbiamo bambini. Dall’altra parte del Mediterraneo la Nigeria ha un’età media di 18 anni. È talmente grande la sproporzione che pensare di fermare la storia con un decreto o sulle spiagge di Lampedusa è contro ogni sensatezza".
Il fatto che Copernico rimanga sullo sfondo e che la parola Rinascimento non sia neanche stata pronunciata manda su tutte le furie il sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, presente in sala assieme a una pletora di notabili (tra cui l’ex ministro Franceschini, il presidente della Regione Bonaccini e il vescovo Perego). "Mi sarei aspettato – furoreggia Sgarbi – che l’università, nel giorno in cui celebra se stessa, collegasse Copernico all’astronomia di Schifanoia. E invece niente. Ho ascoltato grotteschi interventi con parole tanto di moda come condivisione, inclusione, patto di fiducia".