Lunedì 7 Luglio 2025
VALERIO BARONCINI
Cronaca

I campioni dal compagno malato: "Questo scudetto è per te"

La Virtus Bologna si riunisce in ospedale dopo la finale per portare la coppa a Polonara. Il giocatore è ricoverato per una leucemia mieloide: "Ora per me c’è la sfida più tosta".

I. giocatori Marco Belinelli, Alessandro Pajola e Toko Shengelia mentre fanno visita con la coppa al compagno di squadra Achille Polonara, ricoverato all’ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna. Fuori dall’edificio anche tutta la squadra e lo staff della Virtus Bologna

I. giocatori Marco Belinelli, Alessandro Pajola e Toko Shengelia mentre fanno visita con la coppa al compagno di squadra Achille Polonara, ricoverato all’ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna. Fuori dall’edificio anche tutta la squadra e lo staff della Virtus Bologna

Anche gli eroi piangono. Soffrono. E a volte tornano a sorridere. Lo ripetiamo perché ce lo ha raccontato l’epica, di poema in poema. Accadeva a Pericle, seppellendo il figlio Paralo; poi a Ettore, a Priamo. E non era in lacrime anche Odisseo-Ulisse? Poi, il ritorno.

Achille Polonara – il destino nel nome – martedì sera ha sorriso, alla conquista del diciassettesimo scudetto del campionato di basket della sua Virtus Bologna. Il mondo lo ha visto in diretta, sullo schermo di un telefonino in videochiamata: "Questa vittoria è per te". Sullo sfondo, da una parte, il palazzetto di Brescia; dall’altra un muro bianco e il letto di un reparto. Ieri Achille lo fa di nuovo, nonostante sia ricoverato – a 33 anni e dopo aver affrontato già una neoplasia – al Policlinico Sant’Orsola, lo stesso di Sinisa Mihajlovic, per una leucemia mieloide: i compagni di squadra lo raggiungono e gli portano la coppa, quella coppa che significa campionato italiano. Lacrime e sorrisi agli eroi.

È un’immagine che in pochi minuti fa il giro del mondo e dei cuori. In giardino, sotto la finestra, ci sono tutti: gli americani, i ragazzi, lo staff. Poco più in alto, nelle stanze senza contaminazioni dell’oncoematologia Seragnoli s’affacciano quattro eroi, quattro giganti. Tre in camice e mascherina, gli amici che sono pure simboli e monumenti: Alessandro Pajola, il cervello della squadra, presente e futuro della pallacanestro d’Italia; Marco Belinelli, il più grande, l’unico ad avere un anello Nba, il più maturo, non a caso con la carriera a un bivio; e Toko Shengelia, il georgiano che mostrando i muscoli e il pugno chiuso ha deciso una stagione, l’ha presa a rimbalzo e sbalzata per sempre. Fra loro, Achille: maglietta nera, cappellino, ciabatta e coppe (una in mano, l’altra tatuata che spunta sulla coscia).

È il ritratto di una squadra, di una famiglia, di una comunità. La stessa comunità evocata dal cardinale Matteo Zuppi a Conclave concluso, collegando la Cappella Sistina con l’elezione di Leone XIV ai risultati del calcio rossoblù.

Qui, a Bologna, in dodici mesi tutto è cambiato. Da vecchia signora, ora incompiuta e volonterosa, sempre pronta a chiedere il meglio a sé e agli altri, ma negli ultimi decenni poco vincente – tanto da essere fedele compagna dei propri eroi anche nelle sventure –, a capitale dello sport d’Italia. E lo sport, si sa, è metafora serissima in questo Paese. La Champions League ritrovata dopo 60 anni, la Coppa Italia di nuovo rossoblù dopo 51 e, ora, lo scudetto (il diciassettesimo) della Virtus. Il più faticoso, forse anche il meno pronosticabile. È l’ urlo della città, riprendendo in mano le parole scavate nella festa – correva l’anno 1964 – del nostro Luca Goldoni per l’ultimo scudetto del calcio sotto le Torri: "Cominciarono i clacson, le bandiere, i cortei, gli abbracci, le lacrime. In dieci minuti nelle strade non ci si muoveva più: mi accorsi quasi con sgomento, che dalla fine della guerra non avevo più visto uno spettacolo così".

Bologna croce e delizia, snodo d’Italia, terra di passaggio e di passaggi e, per questo, sempre al centro della Storia e delle storie: nel bene e nel male, nei sorrisi e nelle lacrime. Non è un caso che nel 2025 ricorra anche il centenario del primo scudetto del calcio, quello che ora qualcuno a Genova vorrebbe togliere rileggendo (male) le cronache. C’è, in questa commistione di trionfi e dolore, di vita (debordante, fino alle più dure messe alla prova) il romanzo di un intero Paese.

Lo riscrive, ieri sera, proprio Achille Polonara, commentando la foto iconica: "Se posso permettermi di darvi un consiglio: apprezzate quello che avete perché vi assicuro che non so che farei per stare con la mia famiglia, con i miei amici, per fare una passeggiata e tante altre semplici cose che sembrano scontate ma sono momenti preziosi. Ora ci sarà la sfida più tosta, più impegnativa, ma sono sempre stato un ragazzo competitivo e sono pronto ad affrontare questa malattia".