ROMA
Tagliate di netto le radici messe dalla ’ndrangheta a Roma. È il risultato che la Direzione investigativa antimafia, con il coordinamento delle Dda di Roma e Reggio Calabria, ritiene di aver centrato grazue all’operazione ‘Propaggine’: 72 arresti complessivi, 43 nella capitale e 29 in Calabria. Un colpo ai traffici della ‘ndrangheta, in particolare appunto a quelli della propaggine di Roma dove – stando alle indagini guidate dal procuratore aggiunto Michele Prestipino Giarritta – operava quella che in ambienti criminali era conosciuto come il ‘locale di Roma’, sotto la diretta gestione della cosca Alvaro-Penna, egemone a Sinopoli, nel Reggino. Ai domiciliari è finito anche il sindaco di Cosoleto, altro centro del Reggino, Antonino Gioffré, eletto, secondo i pm calabresi, grazie ai voti della cosca che si era insediata anche nel suo comune. Gli Alvaro nella capitale non avevano trasferito solo linguaggi, doti e riti tipici della criminalità calabrese, ma soprattutto la forza intimidatrice. È così che il ’locale di Roma’, anno dopo anno, è riuscito a mettere le mani su svariate attività commerciali nei settori ittico, della panificazione, della pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti, riciclando anche montagne di denaro sporco. A guidare la propaggine romana degli Alvaro, Vincenzo Alvaro, figlio di Nicola detto "u beccausu" e Antonio Carzo, figlio di Domenico detto "scarpacotta". "Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto" si vantavano, intercettati, gli indagati "romani".