di Antonella Coppari
Concludendo la missione in Etiopia, Giorgia Meloni è definitiva: "Voglio eliminare la protezione speciale". Significa che la Lega ha vinto ma non si accontenta, o forse finge di non accontentarsi. Di fatto, il decreto migranti – che il Senato dovrebbe varare in settimana: primo voto in aula forse già martedì – sarà molto irrigidito. Su questo la premier non lascia dubbi: "C’è una proposta di maggioranza, confido venga approvata. Non ci sono divergenze tra alleati, ma la volontà di camminare insieme". Il motivo dell’intervento – aggiunge – è chiaro: "Questa tutela ce l’ha solo l’Italia, non c’è motivo per discostarsi dalle normative europee". Anche perché, spiegano nel suo giro, questo istituto è diventato la principale via per ottenere un permesso (circa 10mila lo scorso anno, contro i circa 6mila rifugiati e i 6mila che hanno ottenuto la protezione sussidiaria).
La partita nella sostanza potrebbe chiudersi così, dal momento che la stretta sulla protezione speciale da sola rappresenta l’80% della posta in gioco. I leghisti però insistono anche per quel rimanente 20%, tradotto in una quindicina di emendamenti sui 21 depositati. Il partito di Salvini non pensa di ritirare, per ora, l’intero pacchetto, come si aspettano sia il governo che gli alleati indispettiti. "Valuteremo il da farsi in base ai lavori della Commissione", dice il presidente dei senatori del Carroccio, Massimiliano Romeo. Giorgia, però, non vorrebbe andare più in là. È noto che al capo dello Stato, il quale viene da una cultura cattolica rigorosamente solidaristica, la sterzata non piace e tuttavia non la fermerà. La scelta di evitare conflitti con un governo democraticamente eletto è solida e verrà mantenuta. Inoltre, il Colle è convinto che se devono emergere problemi di costituzionalità la sede adeguata per segnalarli è la Consulta. Dunque, non ostacolerà il giro di vite sulla protezione speciale. Ma il ghiaccio è sottile, e la premier ne è consapevole. A Palazzo Chigi non si sono certo dimenticati i messaggi del 2018 sui decreti Salvini, e ammettono che il richiamo sui balneari basta e avanza: proprio non c’è bisogno di un’altra tirata d’orecchi. Una volta varata la principale richiesta leghista, la partita per Giorgia è chiusa. Non è affatto detto quindi che sugli emendamenti sopravvissuti ci siano parere favorevole del governo e voto degli alleati. La Lega, però, spera di portare a casa l’intera posta sia pure con formule diverse: alcuni emendamenti con il voto a favore, altri trasformati in ordini del giorno. Si vedrà.
Mannaia sulla protezione a parte, la strategia della premier resta quella illustrata a Cutro e ribadita dal ’vivo’ in Etiopia: pugno duro con i trafficanti, guanto di velluto per i Paesi che contribuiscono a frenare le partenze, "cui diamo segnali in termini di flussi e di formazione", scandisce dall’istituto italiano Galileo Galilei di Addis Abeba, dove si reca dopo un trilaterale con il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali e il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud. Ecco, la scuola: un richiamo al grande sogno di Giorgia, quel Piano Mattei che dovrebbe risolvere il problema immigrazione traducendo in pratica e in miliardi lo slogan: aiutiamoli a casa loro. "C’è in Etiopia voglia di Italia e attenzione per la nostra capacità di cooperare contribuendo alla stabilità delle nazioni africane", gongola.
Quanto al ’cortile italiano’, le insofferenze di FdI e FI per il protagonismo leghista sono problemi minori: la battaglia in Parlamento sarà con l’opposizione che intende fare della questione la prima linea dello scontro con il governo, trasferito dal terreno delle scelte politiche a quello dei valori. Elly Schlein è netta: "Daremo battaglia a tutto campo. È una vergogna abolire la protezione speciale". Scintille sono garantite. Dentro la maggioranza, a parte i toni per occupare la scena, tutto filerà liscio. Il Colle non si opporrà. L’unico scoglio è quel dato che emerge dal Def di Meloni e Giorgetti per cui un incremento dell’immigrazione aiuterebbe il Paese, mentre la sua eliminazione sarebbe esiziale.