"Noi, plagiati per inventare abusi". Marta: così fui strappata a mamma

Falsi casi di pedofilia, vent'anni dopo ritrattano i bambini oggi adulti

Violenza sui minori (Foto d'archivio Germogli)

Violenza sui minori (Foto d'archivio Germogli)

Modena, 14 novembre 2018 - "C’è il bambino a cui è stata rovinata la vita perché strappato ai genitori, ci sono mamme e papà che non hanno più visto i loro figli, nonne che non hanno visto crescere i nipoti, fratelli che si sono persi per sempre. È un danno esistenziale enorme, si può parlare di violazione dei diritti umani. Andremo in Procura". Sono tante – finora oltre una ventina – le persone che si stanno rivolgendo all’avvocato Patrizia Micai dopo le dichiarazioni di alcune persone – gli ex bambini della Bassa modenese – allontanati in tenera età dai genitori indagati per pedofilia e che oggi smentiscono di aver mai subito abusi. Adottati da altre famiglie, in molti casi non hanno più rivisto madre e padre. Per questi genitori, in parte condannati anche a pene molto alte, in parte assolti dopo processi lunghissimi, si profila la possibilità di revisione del processo o risarcimento danni. "Chiederemo anche la radiazione di assistenti sociali e psicologi dell’Ausl", conclude Micai. Solo oggi alcuni di quei bambini, ora adulti, hanno trovato il coraggio di dire pubblicamente che non furono mai vittime di abusi: le loro drammatiche parole rimettono in moto le coscienze e gli studi legali che di quei casi si occuparono a partire dal ’97 quando i racconti di un bimbo di 7 anni fecero diventare Massa Finalese il paese dei pedofili: tra i genitori, aleggiava il terrore di vedersi portare via i propri figli perché servizi sociali e insegnanti erano in allerta e spesso, comportamenti normali, furono scambiati per indizi di abusi. Nell’inchiesta, che ipotizzava abusi su almeno 16 bimbi tra Finale Emilia e Mirandola e riti satanici nei cimiteri con la complicità del compianto don Giorgio Govoni (assolto post mortem) fu centrale il ruolo di psicologi e assistenti sociali che seguirono i piccoli chiamati in causa dal primo bimbo di Massa. Raccontarono tutti le stesse cose: cimiteri, buche scavate a terra, accette e processioni verso il camposanto con genitori e vicini di casa incappucciati. Per i legali degli imputati, "i servizi sociali suggestionarono quei bambini e li ascoltarono senza videoregistrare le testimonianze, riprese solo in un secondo momento quando ormai erano stati plagiati".

"NOI, PLAGIATI PER INVENTARE ABUSI". MARTA: COSI' FUI STRAPPATA A MAMMA di VIVIANA BRUSCHI

Marta, perché ha inventato di aver subito abusi?

"Ero piccola all’epoca, avevo otto anni. Le psicologhe dei servizi sociali dell’Ausl di Mirandola ci sottoponevano a veri e propri interrogatori per incastrare i presunti pedofili, tra cui i nostri genitori. Sono più che convinta di essere stata manipolata, di aver raccontato bugie come tanti altri bimbi".

Dei sedici strappati alle famiglie, quattro hanno ritrattato, compresa lei. Altri lo faranno?

"Spero di sì, la verità deve avere la vittoria sulla menzogna. Ma bisogna avere coraggio e soprattutto aver elaborato quanto accaduto. Non è semplice emotivamente, è un processo lungo, a volte richiede una vita intera. Capisco quanti di noi non sono ancora stati in grado di fare questo passo".

Cosa ricorda di quel periodo lontano da casa?

"Che la psicologa Valeria Donati e altri psicologi dell’Ausl parlavano per ore con noi bambini di messe nere al cimitero e di riti pedopornografici che don Giorgio Govoni avrebbe compiuto al cimitero di Massa Finalese, nella Bassa modenese. Noi bambini venivamo incalzati a raccontare, e alla fine, penso, ci siamo immedesimati nei racconti noir".

Racconti fatti da chi?

"Da qualche bambino, uno dei quali ha ritrattato mesi fa. La pressione psicologica era tale che ci siamo calati nel ruolo inconsapevole di vittime. A distanza di tempo capisco che questa storia è stata inventata a tavolino".

Per quale ragione?

"Questo non lo chieda a me, la risposta non ce l’ho. Ma sono disposta a fare il mio dovere di cittadina davanti al giudice nell’ipotesi si riapra il caso, perché intere famiglie sono state distrutte, sono morte di dolore tante persone. Chi ha sbagliato deve pagare".

Sonia, che come lei ha ritrattato, è stata l’unica a chiudersi nel silenzio durante quegli anni. Si è chiesta il perché?

"Penso sia stata la più forte di tutti noi, che ci siamo fatti manipolare. La stimo molto, avrei voluto fare la stessa cosa. Per anni ho avuto dubbi, confusione, e lentamente è emersa dentro me la verità. Non ero mai stata abusata".

Cosa ricorda della sua infanzia prima dell’allontanamento?

"Il mio bellissimo rapporto con la mamma. A quel tempo faceva le pulizie nelle case per mantenere me e mio fratello, e spesso l’accompagnavo. Portavo la cartella per fare i compiti. Un giorno mi hanno portata via di casa. Il ricordo è vago: so che la tenevo talmente stretta che un poliziotto ha dovuto separarci con la forza".

La sua mamma pochi mesi dopo si suicidò dalla disperazione. Glielo comunicarono?

"È morta da innocente, povera mamma. Lasciò scritto un biglietto: ‘Non ce la faccio più’. Telefonò ai vicini di casa, a cui avevano strappato i due bambini, e si lanciò dal quinto piano del palazzo dove avevamo vissuto anni felici. Mi dissero che la mamma era andata via. ‘È morta’, precisarono, e io piansi ma tenni tutto dentro".

Oggi dove vive?

"Noi bambini, oggi adulti, siamo stati trasferiti nel Reggiano, presso case famiglie affidatarie. C’è chi è ancora con i genitori affidatari, io invece ho preferito uscire e oggi vivo con il mio ragazzo".

Che mestiere svolge?

"La maestra d’asilo, e non è un caso che abbia deciso di esplorare con gli studi il mondo dell’infanzia. A me è stato negato, ora desidero restituirlo con tutto l’amore possibile".