di Viviana Ponchia
Per l’emozione la prima volta sbagliò numero. Ma al secondo tentativo l’ingegnere Martin Cooper, figlio di immigrati ucraini, comunicò al rivale della Bell Labs Joel Engel che quell’istante si faceva la storia e lui era un passo avanti. Strinse all’orecchio il suo DynaTAC grande come una scatola da scarpe e disse: "Ti chiamo dal marciapiede davanti al tuo ufficio. Noi alla Motorola ce l’abbiamo fatta, la telefonia cellulare è una realtà". Era la mattina del 3 aprile 1973, il giorno di una rivoluzione che oggi non si festeggia coi fuochi d’artificio ma che ha cambiato la faccia del pianeta. Cooper aveva inseguito la sua visione del mondo e l’aveva raggiunta: "Le persone adesso si connettono con le persone". Ci vollero altri dieci anni perché le cose si mettessero davvero così, anche se per i costi elevati e la scarsa maneggevolezza il "telefono senza fili" rimase ancora per un po’ un feticcio di nicchia. Altro tempo passò prima che lo scrittore Don De Lillo lo definisse "uno strumento da agguato" e il collo della gente si piegasse sulla spinta di una mutazione antropologica irreversibile.
Mezzo secolo dopo è parte di noi, la razza mutante dei brillanti schizofrenici che ha trovato un modo elegante e socialmente accettabile di parlare da soli. La chiave del suo successo sono peso e dimensioni, ma anche l’intelligenza non è un optional. Cooper utilizzava un prototipo enorme e visto da qui francamente stupido. Il suo successore fu il DynaTAC 8000X soprannominato "the brick", il mattone, e anche lui oggi fa sorridere persino se a maneggiarlo è Michael Douglas in Wall Street. Fu il primo cellulare messo in vendita il 6 marzo 1983. Permetteva di fare 30 minuti di chiamate, impiegava dieci ore a ricaricarsi e costava 3.995 dollari. Sembrava un walkie talkie più che un telefono, ma eravamo tutti innocenti e rapaci e le richieste superarono i pezzi messi in commercio. Martin Cooper oggi ha 94 anni, resta giustamente orgoglioso della sua invenzione e non ha smesso si occuparsi di tecnologia. L’unico dubbio, un pentimento postumo e irrimediabile, riguarda i bambini e gli effetti della dipendenza dagli smartphone. Ci sono troppi contenuti e servizi non adatti a loro, dice, ne va della salute e dello sviluppo di intere generazioni che al pollice opponibile hanno sostituito un dito praticamente autonomo dal resto della mano, a volte anche del cervello. Una recente ricerca Swg spiega che il 75% degli esseri umani tra i 6 e i 9 anni lo usa regolarmente, mentre la fascia 10-13 è coinvolta al 96%, e qui sarebbe interessante domandare alla fronda minoritaria di chi si astiene dove vive e come sopravvive. Cooper non condanna il mezzo, piuttosto auspica per i piccoli le praterie bonificate di un’altra Internet fatta a loro immagine e somiglianza. Il genitore spaventato ovviamente va su Google a cercare soluzioni. E scopre che siamo fermi al proposito di introdurre sistemi di verifica dell’età sicuri, mentre negli Sati Uniti stanno tornando di moda i telefonini ’scemi’ che troppi danni non possono farli.
Bambini a parte l’ingegnere però rifarebbe tutto, anche i primi passi maldestri come giovane impiegato di Motorola alla fine degli anni ’50, quando elemosinava qualche commessa in più bussando alla porta del gigante AT&T, che vendeva autoradio e walkie talkie. Un gigante cieco: nel ’69 chiese alla Commissione federale per le comunicazioni l’uso esclusivo dello spettro per avviare un sistema telefonico wireless nazionale, ma lo presentò al governo come un progetto minore, perché nessuno mai avrebbe rinunciato al fisso. Niente di più lontano dalla visone di Cooper, che per strada spiava la radio alla cintura dei poliziotti di Chicago e i cercapersone di medici e infermieri all’ospedale Mount Sinai di New York. Scrive nel suo libro di memorie: "Per la AT&T Bell, tutto andava concepito in funzione del cavo. Per me e Motorola l’obiettivo finale era guidato da una logica diversa: quella della radio e della libertà che implicava. Perché le persone si connettono con le persone, non con i luoghi". Non immaginava il seguito, che quella scatola da scarpe sarebbe diventato un colossale hub di servizi da cui prenotare l’aereo e ordinare la pizza, fare lezione e riunioni, svangare persino una pandemia. "Le persone che hanno uno smartphone si sono fatte prendere la mano – ammette oggi –. Sono sconvolto quando vedo qualcuno attraversare la strada con gli occhi fissi allo schermo. Ma bisogna avere fiducia nell’umanità e io ce l’ho. Gli esseri umani prima o poi ci arrivano".