Giovedì 7 Novembre 2024

C’era una volta Davos Covid e guerra, è un altro mondo I big disertano il party del globalismo

Pax americana in crisi, i concorrenti di un tempo sono diventati nemici. Con la Cina rinasce il bipolarismo. Più assenze che presenze all’evento economico: non ci saranno Biden, Macron, Sunak e Meloni

di Cesare De Carlo

WASHINGTON

C’era una volta Davos. No, non la celebre, esclusiva località svizzera dove i ricchi e famosi amano trascorrere le vacanze invernali, ma l’annuale World Economic Forum che si apre oggi e dal quale si attendono previsioni, indicazioni, impegni sull’economia globalizzata. E invece in questo 2023 no.

L’attesa andrà delusa per il semplice motivo che la globalizzazione è in crisi. Anzi, sembra avere superato il punto di non ritorno con la reimposizione di barriere commerciali, con il recupero di produzioni strategiche imprudentemente trasferite in estremo oriente, con la diversificazione delle fonti energetiche in un’Europa che – troppo tardi – si è scoperta esposta ai ricatti.

DUE EVENTI EPOCALI

Insomma Davos non è più la stessa perché il mondo non è più lo stesso. L’hanno cambiato due eventi epocali. In primo luogo la pandemia, partita dalla Cina e sulla quale – a dispetto delle evidenze – il regime comunista rifiuta ogni responsabilità. E in secondo luogo la guerra in Ucraina, che ha trasformato concorrenti in nemici e che ha fatto rinascere il bipolarismo della guerra fredda. Il mondo non è più multipolare, come tuttora sostiene il cinese Xi Jinping. Si è ridiviso in due. Con una differenza. Prima gli avversari dell’Occidete trovavano il loro collante nell’ideologia, oggi nella negazione dei valori di libertà. Il che spiega perché il comunismo cinese abbia trovato alleati nel postcomunismo russo, nella teocrazia iraniana, nel fanatismo staliniano della Corea del Nord.

PROIEZIONI DELLA WTO

Risultato: Davos per una settimana non sarà più il party della globalizzazione. La globalizzazione è in pezzi e lo dimostrano le proiezioini della World Trade Organization. Nel 2023 gli scambi commerciali scenderanno dal 3,5 all’1 per cento o anche al di sotto. Penalizzata soprattutto la Cina, investita dal disimpegno di molte multinazionali che oltrepassano i suoi confini meridionali e chiedono ospitalità al Vietnam o – come è il caso americano – riportano in patria le produzioni High Tech, chip, farmaceutici eccetera.

Lo dimostra anche e soprattutto la partecipazione. Più assenze che presenze. Gli organizzatori fanno sapere che ci saranno una cinquantina di capi di Stato e di governo. Già, ma non quelli che contano. Non Biden, non Macron, non Sunak, non Xi, non Trudeau, il più ardente apostolo della globalization. E nemmeno Vladimir Putin, la cui presenza negli anni passati era un punto fermo. Non ci sarà Giorgia Meloni e non ci sarà alcun ministro del governo italiano. Ci sarà invece Olaf Scholz, cancelliere tedesco. E la cosa non giova al suo prestigio.

MULTINAZIONALI

DELLA FINANZA

Solo i Ceo delle multinazionali della finanza e della distribuzione da Goldman Sachs a Black Rock, a David Solomon, a Microsoft, Amazon dicono che di fronte ai tanti guai causati da Cina e Russia bisogna reagire con una "maggiore cooperazione". In testa a tutti Klaus Schwab. Fa il suo mestiere. È il fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum. E lo dicono i rappresentanti delle satrapie euroasiatiche e mediorientali in cerca di legittimazione internazionale. Lo dicono i Paesi del Golfo Persico, come gli Emirati Arabi Riuniti, le cui credenziali li vedono al 138esimo posto per libertà di stampa e ai quali si attribuiscono il riciclo del denaro sporco dei cattivi della Terra e la violazione dell’embargo sulla esportazione di armi alla Russia.

Ebbene a Davos gli Emirati si presenteranno come gli ospiti del prossimo vertice ecologico. Altro paradosso della post-globalization.

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