di Antonio Del Prete
Dalla padella degli idrocarburi russi alla brace dell’automotive cinese. La crisi della globalizzazione ci coglie impreparati. Altro che finita, la storia smentisce Francis Fukuyama e ricomincia: Mosca e Pechino non si accontentano più dell’iscrizione al club del Wto, ambiscono al ruolo di potenze. Diventano nemici. Perciò da Putin, già passato dalle parole ai fatti, proviamo oggi affannosamente a divincolarci andando a caccia di gas in giro per il mondo. Ma la lezione della crisi ucraina rischia di non essere compresa. Domani, infatti, potremmo ritrovarci succubi del Dragone, sempre più egemone nel mercato delle auto elettriche.
L’ALLARME
DI CONFINDUSTRIA
Marco Bonometti, membro del consiglio generale di Confindustria, lancia l’allarme. "Puntare solo sull’elettrico è un suicidio – avverte –, se oggi siamo in mano alla Russia per il gas, domani rischiamo la dipendenza dalla Cina: in Italia mancano le materie prime per le batterie, cioè litio e nichel, che arrivano dall’Asia". "Lo stesso accade per pannelli fotovoltaici e pale eoliche con il 70% della produzione mondiale concentrata in estremo oriente", ragiona Davide Tabarelli, docente dell’Università di Bologna e presidente di Nomisma Energia. I motivi sono banali. Non riguardano soltanto la localizzazione delle materie prima, ma anche i prezzi. "I cinesi non hanno rivali perché sfruttano economie di scala e i bassi costi del lavoro e soprattutto dell’energia elettrica".
DRAGONE LEADER
DEL MERCATO
Fattori che, secondo un rapporto della società di analisi GlobalData citato da Forbes, determineranno "il dominio della Cina sul mercato dei veicoli elettrici". Le stime spiegano un’affermazione tanto perentoria. Nel 2026 oltre la metà dei 12,76 milioni di auto prodotte nel mondo arriverà dalla Cina. Che, inoltre, fabbricherà il 61,4% delle batterie agli ioni di litio. È alla porta di Xi Jinping, dunque, che continueremo giocoforza a bussare per raggiungere il traguardo della transizione ecologica. Una rivoluzione che il governo italiano prova ad accelerare mettendo nel piatto quasi 2 miliardi di euro di incentivi in tre anni. Ne vale davvero la pena?
IL DIBATTITO IN OCCIDENTE
È un interrogativo che, mutatis mutandis, comincia ad aleggiare in Occidente. In Germania, ad esempio, il governo sta seriamente valutando di tagliare i bonus destinati ad agevolare gli acquisti ‘green’. E negli Stati Uniti si dibatte sull’opportunità di puntare su un settore dominato da una potenza rivale.
L’Unione europea col suo Green New Deal, invece, va in un’altra direzione. Il pacchetto sul clima prevede la totale eliminazione delle auto a motore termico dal 2035.
I DUBBI DI CINGOLANI
Uno stop che ha suscitato la perplessità di Roberto Cingolani. "Così chiudiamo la Motor Valley – commenta il ministro della Transizione ecologica –: se anche le supercar dovranno adeguarsi all’elettrico al 100% in così pochi anni, Ferrari, Lamborghini e Maserati, per citare i marchi di punta del settore, non avranno il tempo di adeguarsi". Tabarelli concorda: "Stiamo ammazzando l’industria europea dell’automobile". Insomma, tra incentivi e regole che non tengono conto degli equilibri geopolitici né dello stato dell’arte, ci diamo la zappa sui piedi.
LE ALTERNATIVE
"L’evoluzione della mobilità è una storia di libertà – ricorda il presidente di Nomisma –, la rivoluzione elettrica si può perseguire in parallelo, senza abbandonare i motori termici". "Piuttosto – propone l’esperto – dovremmo insistere sull’ibrido e potenziare la ricerca sull’efficienza del diesel, un gioiello tecnologico". Non si sa mai, nel mondo tira una brutta aria.