Polo blu elettrica e jeans. Sguardo fisso davanti a sé. Così Giampiero Gualandi, vigile urbano di 63 anni accusato dell’omicidio volontario della ex collega Sofia Stefani, 33, con cui aveva avuto una relazione, uccisa da un proiettile sparato al viso nella sede del comando di polizia locale di Anzola (Bologna) giovedì scorso, si è presentato ieri all’udienza di convalida del fermo davanti al gip Domenico Truppa.
Per un’ora e mezza l’uomo ha risposto alle domande del giudice, affiancato dal proprio avvocato Claudio Benenati. Poi, il giudice ha deciso per la custodia cautelare in carcere. All’esito dell’udienza e dell’interrogatorio, il giudice ha quindi accolto la richiesta della procura, che coordina le indagini dei carabinieri, ravvisando la gravità degli indizi a carico dell’indagato. Il fermo non è stato convalidato, perché non è stato ritenuto sussistente il pericolo di fuga.
"Si è trattato di uno sparo accidentale – rilancia al termine dell’udienza l’avvocato Benenati –. La responsabilità del mio assistito per omicidio colposo è fuori discussione, ma un omicidio volontario sarebbe fuori da ogni logica. Gualandi non sapeva che la ragazza stava arrivando. Per una coincidenza era andato a ritirare la pistola dall’armeria, in vista di un’imminente esercitazione al poligono di tiro, disposta dal suo comandante. Si era anche accordato con un collega per comprare il materiale necessario a lustrarla. Dobbiamo immaginare abbia messo in piedi tutto questo articolato stratagemma per uccidere senza motivo una persona cui comunque voleva bene, dentro a un comando di polizia da cui non poteva fuggire? È assurdo". Benenati annuncia ricorso al Riesame contro la misura.
In disaccordo con la tesi difensiva è però il gip, che evidentemente non è stato convinto dalla ricostruzione fatta in aula dall’indagato. Il quale ha raccontato che sì, la giovane l’aveva chiamato prima del suo arrivo alla ’Casa gialla’ di Anzola, ma lui non sapeva stesse arrivando. Il loro incontro era durato in tutto tre minuti, durante i quali Sofia, arrabbiata per la fine della relazione, decisa da lui, lo avrebbe aggredito, picchiandolo con un ombrello e gettando la sua giacca a terra. In quel frangente, avrebbe notato la pistola sul tavolo, rimasta carica e in bella vista "per una distrazione, dato il periodo di stress", dice Gualandi, "dovuto anche alle insistenze della ragazza, che continuava a cercarmi nonostante l’avessi lasciata", e avrebbe cercato di afferrarla, forse per usarla come oggetto contundente con cui colpirlo. Il vigile avrebbe allora cercato di strappargliela dalle mani: da lì, la colluttazione da cui sarebbe partito accidentalmente il colpo mortale, che ha centrato Sofia al viso.
Ma per l’accusa – il pm è Stefano Dambruoso, che coordina i carabinieri del Nucleo investigativo – la ricostruzione non regge. Innanzitutto, l’arrivo "improvviso" della ragazza. I tabulati dicono che lei lo chiamò 15-20 volte prima di incontrarlo; l’ultima telefonata, chiusa 7 minuti prima di quella di Gualandi al 118, era durata diverso tempo. Per la procura è impossibile che lui non sapesse che lei lo stava raggiungendo. Proprio in quelle ore e il giorno precedente, inoltre, Sofia era stata contattata dalla moglie di Gualandi, per intimarle di smettere di cercare il marito. Non convince poi la storia della pulizia della pistola. Infatti, di solito si sistema dopo le esercitazioni, non prima, e salvo casi particolari, è lo stesso poligono a offrire il servizio: perché Gualandi aveva invece deciso di farlo da solo? Infine, i tempi. L’incontro tra i due è durato pochissimo: 5 minuti prima della telefonata al 118 Sofia era al casello dell’autostrada di Sala Bolognese, a 2-3 minuti di moto dal comando. Tutto è successo in un lampo. E allora, tra gli inquirenti si fa largo un’ipotesi atroce: che l’uomo, armato, l’abbia attesa seduto alla scrivania, pronto a fare fuoco non appena lei si fosse avvicinata. Se così fosse, presto potrebbe venirgli contestata anche l’aggravante della premeditazione. Sarà disposta una perizia balistica allo scopo.