Venerdì 3 Maggio 2024

Vincenzo De Luca, il sindaco-sceriffo sempre sul carro del vincitore

Sessantasei anni, nasce in Lucania, a Ruvo del Monte. Da piccolo si trasferisce a Salerno dove mette radici

Vincenzo De Luca (Ansa)

Vincenzo De Luca (Ansa)

Napoli, 2 marzo 2015 - Un superman del potere, capace di fare il sindaco per 21 anni e di stare sempre sul carro del vincitore. Oggi, ovviamente, Vincenzo De Luca, è un renziano di ferro (forte del 97% che gli ha procurato a Salerno nelle primarie dell’8 dicembre 2013).

Sessantasei anni, nasce in Lucania, a Ruvo del Monte. Da piccolo si trasferisce a Salerno dove mette radici. Si laurea in filosofia, poi militanza nel Pci diventando segretario della federazione provinciale di Salerno. Intransigente, si conquista sul campo l’appellativo di "Pol Pot", il dittatore cambogiano capo dei kmer rossi che mandava i nemici nei campi di concentramento. Ma il partito gli va stretto e inizia la carriera di amministratore, all’ombra di Vincenzo Giordano. Quando il primo cittadino – è il 1992, piena tempesta di tangentopoli – viene arrestato (sarà poi prosciolto) prende le redini di Palazzo di città. Prima fa il sindaco ad interim, poi a capo di una lista civica conquista nel 1993 la fascia tricolore. Ma solo al ballottaggio con il 57% e dopo aver sfiorato il flop al primo turno.

A Salerno inizia la mitizzazione di quello che viene definito il "podestà rosso" anche se lui dice di sentirsi un "gobettiano liberale". I suoi metodi, la sua antinapoletanità, il suo decisionismo spinto fino all’arroganza piacciono anche alla destra. Basta guardare cosa fa dopo aver indossato la fascia tricolore. Prima abbatte un vecchio cementicifio che, da anni, intralcia il water front sul lungomare, poi ingaggia una guerra senza quartiere ai fannulloni del Comune e alle prostitute. Infine, ridisegna la città con opere di rilancio urbano affidandosi alla matita delle archistar.

Il mandato-bis è una passeggiata: il 6 novembre ‘97 è rieletto sindaco al primo turno col 71,3% dei consensi. Un plebiscito che incoraggia il suo ghigno di sindaco-sceriffo. Così diventa famoso in tutt’Italia per la campagna contro i rom (celebre la frase: "A Salerno gli zingari li prendiamo a calci") e per dotare i vigili di manganelli. "Un’altra Italia", per citare il libro che scrive, che però non piace ai piani alti del partito dove il sindaco imbattibile diventa urticante per Antonio Bassolino e per lo stesso Giorgio Napolitano che, come scrive Gian Antonio Stella sul Corriere, "non lo volle concorrente alle Europee".

Terminati i primi due mandati, De Luca piazza al vertice del Comune un fedelissimo, Mario De Biase. Lo slogan di quell’elezione è esplicativo: "Per votare De Luca vota De Biase". Vincenzo, che intanto si è trasferito a Montecitorio, però non molla Salerno. Non solo perché segue da vicino il piano regolatore, ma anche perché deve ribattere colpo su colpo alle prime inchieste. Gli arrivano sulla testa molte tegole, l’unica che gli fa male è quella sul termovalorizzatore di Salerno: condanna a un anno di reclusione e un anno di interdizione dai pubblici uffici (abuso d'ufficio).

Una sentenza che significa la fine del "ventennio" deluchiano. Ma la sua rete di potere è inossidabile, con rapporti stretti con imprenditori e uomini di tutti i partiti. Non riesce però a conquistarsi le simpatie degli ambientalisti che gli rimproverano l’amore il progetto del Crescent (la mega piazza a mare) su cui si è ingaggiata da anni una battaglia a colpi di denunce. "Un sistema basato sul ciclo edilizio", lo definisce lo storico Aurelio Musi.

I nemici più accaniti però si trovano proprio nel suo partito, come il dalemiano Alfredo D’Attorre, che ha preferito lasciare Salerno per la Calabria, o il lettiano Guglielmo Vaccaro che lo bolla così: "Peggio di Lauro". Lui scrolla le spalle, categorico: "Non parlo con i somari".