Giovedì 25 Aprile 2024

IL PERSONAGGIO / "Io, sacerdote nel ghetto del Bronx". A messa col giubbotto antiproiettile

Padre Jenik dal '78 lotta contro la malavita. Bergoglio lo fa vescovo

Padre John Jenik, prete del Bronx (Fotoblog Marcin Gorgolewsky)

Padre John Jenik, prete del Bronx (Fotoblog Marcin Gorgolewsky)

New York, 9 luglio 2014 - La prima stretta di mano con padre John Jenik è tra le sbarre della grande inferriata che protegge l’ingresso della sacrestia della chiesa di Our Lady of Refuge, sulla 198 esima strada nel cuore del Bronx. Miguel l’assistente tuttofare arriverà da dentro, con due enormi chiavi solo qualche minuto dopo. Negli altri cancelli del complesso che include anche una palestra, una mensa e una scuola, le chiavi non bastano. Sopra c’è anche il filo spinato per evitare intrusioni sgradite. Padre Jenik, il primo prete del Bronx che il 4 agosto diventerà vescovo, ammette che la comunicazione di Papa Bergoglio è arrivata totalmente inaspettata. «Sono entusiasta — dice — ma non so cosa pensare. Ho settant’anni e invece di avviarmi a una missione più tranquilla dovrò sicuramente lavorare molto di più perché mi occuperò non solo del nord ma dell’intero Bronx, che è sterminato e raccoglie quasi 2 milioni di persone. Sono anche sorpreso dal fatto che il Papa abbia scelto un prete normale per questo importante incarico».

In realtà padre Jenik non è un «pastore normale». E’ nel Bronx dal 1978 e negli anni Novanta, quando le sparatorie fuori dalla sua chiesa si ripetevano a intervalli di ore perché gli spacciatori di droga usavano quel crocevia tra la canonica e il portone della cattedrale come mercato all’aperto e per i loro regolamenti di conti, lui diceva messa e usciva per le strade con il giubbotto antiproiettile. Sono decine le marce e le fiaccolate che ha organizzato passando in processione con le candele davanti alle case degli spacciatori. «Hanno sparato qualche colpo anche alle finestre del mio studio al secondo piano — dice con calma — Ma qui non passa giorno che qualcuno non metta mano alla pistola. La situazione non è molto cambiata nemmeno dopo l’11 settembre. E’ sempre difficile».

Con una ricetrasmittente nella mano e il cellulare sempre pronto sul numero delle emergenze nell’altra, Padre Jenik trasmette sicurezza e calma mentre ci accompagna lungo una stradina deliziosa e piena di villette colorate che si chiama Pond Place e che collega la chiesa del Bronx a un ex convento delle Orsoline trasformato nel 2008 proprio dalla comunità che il sacerdote ha fondato attraverso una organizzazione no profit, in un grande complesso residenziale per anziani e famiglie a basso reddito. Si tratta di un’isoletta tranquilla in un arcipelago di violenza che nessuno si permette di violare, nella quale spuntano dai balconi ogni 50 metri dei simpatici striscioni spesso in spagnolo per promuovere gli ‘asili nido fatti in casa’ dove i bambini con 20 dollari al giorno sono assistiti dal mattino alla sera, pranzo incluso, mentre i genitori vanno al lavoro.

Quando gli chiediamo come mai parcheggiati anche in doppia fila di fronte a case modeste vediamo solo gipponi Mercedes, Bmw e Lexus, lui allarga le braccia. «È chiaro che commerciano in cose illegali e quello è il loro status symbol. Ma anche i trafficanti hanno figli e per loro sperano in un futuro fuori da qui». Forse anche per questo a Pond Place rispettano gli altri abitanti.

Ma la polizia non fa controlli? «Di tanto in tanto, ma non basta.Gli agenti dicono che non possono bloccare nessuno se non trovano prima i proiettili di una sparatoria».

Questo clima impedisce alla gente di venire in chiesa? «No. Noi la domenica nelle tre messe raggiugiamo le 1.200 persone. È un numero altissimo, ma non abbiamo alcuna vocazione per il seminario, soprattutto dopo lo scandalo dei preti pedofili. I miei fedeli sono ex immigrati del centro e sud America o gente di colore, esattamente l’opposto di quando arrivai 36 anni fa, dove il novanta per cento erano bianchi che poco alla volta hanno lasciato il quartiere perché la violenza era troppa».

C’è un rimedio? «Fare opere sociali, costruire altri appartamenti, scuole, case, palestre, luoghi sicuri, mantenere forte il senso di comunità e solidarietà, ma anche vigilare».

Tutti conoscono padre Jenik da queste parti e lui li ricambia chiamandoli per nome. Quando Martin originario del Salvador lo saluta togliendosi il cappello, il futuro vescovo del Bronx gli chiede come sta la moglie ricoverata in ospedale. Maria, una signora di 80 anni arrivata da Portorico quando ne aveva 20, con tre figli piccoli, ci mostra la sua casa ordinatissima dove paga meno di 250 dollari al mese e lo ringrazia per averla convinta a studiare inglese. Una ragazza tutta tatuata e scollata, con gli occhi persi seduta su uno scalino, gli lancia un sorriso mentre passiamo davanti. Il Bronx di padre Jenik è un mondo a parte. Sembra il set di un telefilm dove i proiettili sono veri e i racconti non bastano a descrivere una tensione sottopelle unica e irreale.