"I marò non usano quei proiettili". E c'è la truffa dei testimoni fotocopia

India, nelle carte depositate al Tribunale del Mare tutti i trucchi dell'accusa

I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone (Ansa)

I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone (Ansa)

Roma, 11 settembre 2015 - DUE DEPOSIZIONI identiche come gocce d’acqua sull’uccisione dei due pescatori indiani. Nelle stesse carte c’è una conferma che viene dagli stessi indiani sul fatto che i proiettili che hanno fulminato Valentine Jelastine e Ajeesh Pink erano più lunghi di quelli in dotazione ai marò. Sembrano fatti con il copia e incolla due affidavit dei sopravvissuti, ossia le testimonianze scritte, sull’incidente che portò all’arresto dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati dall’India di aver ucciso al largo della costa del Kerala il 15 febbraio 2012 due membri dell’equipaggio del Saint Antony. I testimoni indicano senza la più pallida ombra di dubbio e senza storpiarli i nomi e i cognomi dei due militari italiani che avrebbero ucciso i loro compagni di lavoro. Li definiscono i ‘sailors’, i marinai.

Le testimonianze sono l’allegato numero 46 delle carte che l’India ha depositato ad Amburgo al Tribunale internazionale per il diritto del mare (in sigla Itlos). La corte il 24 agosto ha sospeso tutte le procedure giudiziarie indiane

(quattro, ndr) ma non si è pronunciata sulla richiesta di rientro in Italia di Salvatore Girone. Le due testimonianze-fotocopia sono state raccolte nella stessa giornata, il 30 luglio del 2015. Il comandante del peschereccio Freddy Bosco, 34 anni, residente nello stato meridionale del Tamil Nadu, e il marinaio Kinserian, 47 anni, dichiarano «onestamente e con la massima integrità» che alle 16,30 del 15 febbraio 2012 il natante «finì sotto il fuoco non provocato improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi». Entrambi, guarda caso, sbagliano nello stesso modo il nome della petroliera la Enrica Lexie. Entrambi aggiungono che i «tiri malvagi» hanno provocato la «tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jelastin, e Ajesh Binke». La loro vita dopo la presunta sparatoria è descritta nello stesso modo: «Indicibile miseria e una agonia della mente, una perdita di introiti». «La nostra ordalia – concludono – non è finita».

LA CERTEZZA sulle responsabilità dei fucilieri di marina italiani di Bosco e Kinserian è condivisa dal terzo pescatore Michael Adimai, sentito il 4 agosto. Anche lui parla di spari «senza preavviso e provocazione». Denuncia «Un’incommensurabile agonia mentale e un fardello finanziario che continua tuttora». Come gli altri due testimoni denuncia la sua incapacità di portare avanti «le attività quotidiane». Secondo Luigi di Stefano, perito di parte vincente nella lunga indagine sul Dc dell’Itavia caduto a Ustica, le carte non avrebbero dovuto essere depositate al tribunale amburghese. I giudici infatti erano chiamati a decidere solo se il processo sull’incidente debba essere celebrato dall’India o dall’Italia. Le udienze ad Amburgo sono state sfruttate da Nuova Delhi per ribadire la colpevolezza di Latorre e di Girone. Fra le carte però è rimasta, a sorpresa, anche l’autopsia dell’anatomo patologo K. S. Sasikala che esaminò i cadaveri dei pescatori. Il documento sembrava essere rimasto nei cassetti della polizia del Kerala. Invece è stato consegnato come allegato numero 4.

NELLA SECONDA pagina viene descritto e misurato il proiettile estratto dal cervello di Jelastine. È una pallottola molto più grande delle munizioni calibro 5 e 56 Nato in dotazione ai marò. Sasikala ha misurato un’ogiva lunga 31 millimetri, con una circonferenza di 20 millimetri alla base e di 24 nella parte più larga. Il proiettile italiano è lungo appena 23 millimetri. I colpi dei kalashnikov si fermano a 26,4 millimetri. Il proiettile con tutta evidenza viene da un’arma diversa dai mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 dei fucilieri di marina italiani, come questo giornale ha pubblicato fin dall’inizio. Dalle carte depositate emerge anche l’ennesimo particolare incongruo. Il Gps del Saint Antony non fu consegnato da Bosco alla polizia appena arrivò in porto, ma otto giorni dopo, il 23 febbraio, assieme a un computer malridotto. Insomma, volendo, ci fu tutto il tempo per manomettere i dati registrati dall’apparecchio.