Lunedì 29 Aprile 2024

Il grande flop dei Cinepanettoni, Enrico Vanzina: "Manca il ricambio generazionale"

Il famoso sceneggiatore e produttore: "Tutti uguali, piccoli e vecchi"

Enrico Vanzina (Foto Umicini)

Enrico Vanzina (Foto Umicini)

Capri, 29 dicembre 2016 -  I segnali non sono incoraggianti. Il cinema, neanche nel suo momento più fiammeggiante, cioè a Natale, riesce a fare gli incassi di una volta. Dove «una volta» è anche soltanto l’anno scorso. Per anni, per decenni, tutti a guardare “Natale sul Nilo”, “Natale in India”, “Natale a New York”. E a regalare incassi stratosferici a quei film. Ma adesso, qualcosa si inceppa. I cinepanettoni si sono moltiplicati: simili nei titoli – “Natale a Londra”, “Un Natale al Sud”, “La cena di Natale”, oltre a “Non c’è più religione”, “Poveri ma ricchi” e “Fuga da Reuma Park” – e più ancora nei toni, nelle storie. Ma quello che non si moltiplica, mentre si moltiplicano i titoli, sono gli incassi. Pochissimi numeri: nel primo weekend di competizione i film italiani hanno incassato l’11,8 % in meno rispetto al 2015, dove pure c’era un film in meno. E nelle due giornate festive, Natale e Santo Stefano, i cinque film italiani di quest’anno hanno incassato 5,66 milioni, mentre nel 2015 i quattro film italiani avevano incassato 6,37 milioni di euro. Sempre l’11 per cento in meno. Con un picco del 14 % in meno nella giornata di Santo Stefano – la più la più «cinematografica» di tutte. Ed è il dato peggiore degli ultimi quindici anni. C’è da chiedersi se non sia ufficialmente finita l’epoca d’oro della commedia italiana di Natale. Hollywood domina il mercato, ma i film italiani non tallonano più neanche da vicino. Perché? Lo chiediamo – nell’articolo seguente – a Enrico Vanzina. Uno che di film di Natale se ne intende. 

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di Giovanni Bogani

AL FESTIVAL “Capri, Hollywood”, Enrico Vanzina arriva questa mattina, per parlare proprio di mercato del cinema. Sceneggiatore, produttore, giornalista, scrittore, Enrico è forse il primo autore – insieme al fratello Carlo – di quei film che poi sono stati chiamati «cinepanettoni»: tutto cominciò nel 1983, con “Vacanze di Natale”. Enrico Vanzina ha scritto, anno dopo anno, storie che legavano leggerezza, comicità, esotismo, seduzione. Ma adesso è il primo a rendersi conto che qualcosa è cambiato. Negli ultimi due anni, Enrico e Carlo Vanzina sono stati lontano dalla competizione dei film di Natale. E poche ore fa, Enrico ha lasciato che un video – che ha girato lui stesso col telefonino – raccontasse la sua amarezza. «Il video è diventato virale in poche ore», racconta Enrico. «Ed è il vero, unico film di Natale di quest’anno». Nel video appare una famiglia: tutti fermi, fissi davanti al proprio smartphone. Ognuno vede qualcosa. Ma non vede gli altri. 

È questo il motivo per cui il cinema sembra stare per affrontare la sua crisi più grave?  «Anche per questo. Perché siamo tutti chiusi in noi stessi, tutti davanti a uno schermo di 7 pollici». 

I film italiani non sono andati benissimo, questo Natale.  «Sono andati malissimo. E il Natale non c’entra». 

Ma qual è il motivo, secondo lei?  «Un primo motivo è che ne sono usciti troppi. Quello di Boldi, quello di Scamarcio, quello di Luca Miniero con Bisio, altri tre immediatamente sotto Natale. Ma soprattutto, un vero “film di Natale” non c’è» . 

Non ha detto che sono troppi?  «Senza entrare nel merito di ogni film, il vero “film di Natale” ha delle regole precise. Deve avere una sua leggerezza nazional-popolare. E poi dev’essere una fotografia del paese in cui viviamo, oppure dev’essere un grande viaggio esotico, come faceva Neri Parenti. Se ci fai caso, i vari “Natale a…” erano dei kolossal esotici. Oggi sono film “piccoli”, produttivamente e come location. Il pubblico lo capisce, e capisce che non è qualcosa di tanto diverso da quello che vedono in tv. Lo dico senza acrimonia, sia chiaro». 

Ma quale si avvicina di più a queste «regole»?  «Alla fine, quello che fa più ridere è quello di Fausto Brizzi, “Poveri ma ricchi”; e poi Christian ha su di sé le stimmate del Natale. Il pubblico lo ha riconosciuto, e lo ha premiato». 

Comunque gli incassi sono calati, tutti.  «È un crollo generalizzato del cinema. E i motivi sono tanti. Primo: i film italiani sono troppo uguali gli uni agli altri, con gli stessi attori rigirati come nel gioco delle tre carte. Secondo problema: i giovani. Guardano gli smartphone, non il cinema». 

Il cinema italiano si regge sui vecchi?  «Sì. I giovani preferiscono spendere i loro 7 euro per l’happy hour, piuttosto che per il cinema». 

C’è anche la facilità di vedere i film a casa.  «Soprattutto di vederli illegalmente. Un problema che non ha soluzione. Nessuno ci ha messo mano, nessuno ha fatto nulla». 

Soluzioni? Quali soluzioni vede? «Il cinema di mezza età non trova più nemmeno le sale di centro città, tutto è spostato nei Multiplex. Così al cinema le persone non vanno più. Una soluzione sarebbe rivedere il valore dei nostri film, quando vengono passati in televisione». 

Cioè pagare di più il passaggio televisivo?  «Sì. Pagare di più i film italiani, e di meno quelli americani, che non devono rimettere in piedi il loro bilancio, avendo un mercato enorme».

Non sarà un problema di prodotti, anche?  «Certo. Tutti oggi fanno la commedia. Ma la commedia è una cosa seria. E poi, sono tutti vecchi». 

Vecchi?  «Sì. Io sono vecchio, ma i “giovani” sono considerati Garrone, Sorrentino, Virzì, Genovese: gente che ha cinquant’anni, ben che vada. Non c’è un venticinquenne che emerge, né fra i registi né fra i comici. Non c’è stato ricambio generazionale. Sydney Sibilia e pochissimi altri, ma sono eccezioni». 

Voi Vanzina avete iniziato in un periodo di entusiasmi diversi.  «Sì: ma oggi fare un film è paradossalmente molto più facile. Basta un telefonino. Ma quando abbiamo iniziato noi c’erano attori fantastici, Troisi, Verdone, Benigni, Nuti, Abatantuono, ed erano tutti giovani. Oggi?». 

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