Venerdì 24 Maggio 2024
MARIO ARPINO
Politica

Troppi nemici

Mario Arpino (Ansa)

Mario Arpino (Ansa)

Roma, 2 novembre 2015 - Che succede in Libia? Tutti sanno che nessuno lo sa, forse nemmeno i libici. Ciò che sappiamo di certo è che l’attuale frammentazione, da sempre latente, è il frutto avvelenato dell’avventatezza con cui l’Occidente si era gettato a capofitto nell’avventura masochista del 2011. I promotori di questa infausta, inspiegata ed inspiegabile campagna erano stati Sarkozy per la Francia e Cameron per il Regno Unito, cui, con motivazioni diverse, si erano poi aggiunte altre quattordici nazioni, tra cui Stati Uniti e Italia. Sì, c’eravamo anche noi. Pur se il nostro governo aveva aderito con riluttanza e solo sotto la moral suasion del Colle, i piloti dell’Aeronautica e della Marina si erano comportati bene, sempre presenti sui cieli libici per tutta la durata dell’operazione – vale a dire da marzo a settembre 2011 –, contribuendo per circa il 12 per cento alle 16mila sortite classificate combat (ovvero con sganci di armamento di precisione). Non si sa perché, ma questo contributo dell’Italia è sempre passato sotto traccia, sia in patria sia all’estero. Tanto che Barack Obama, nel successivo vertice di Nizza ai margini del G-20, aveva lodato Sarkozy e la Francia, "...senza la quale questa guerra non si sarebbe potuta fare".

O, vorremmo correggere, "…non si sarebbe mai fatta". Onore al merito, ma per l’Italia nemmeno una parola. Meglio così: gli equipaggi hanno fatto il loro dovere, però è stata una guerra sbagliata, contro i nostri interessi. Successivamente, il nuovo governo di Matteo Renzi aveva proposto l’Italia come leader di una forza di stabilizzazione sotto l’egida dell’Onu e, ovviamente, su richiesta di un nuovo governo libico. Avremmo potuto cosi riproporci all’attenzione delle telecamere come accaduto a Prodi e al suo governo per lo spettacolare sbarco in Libano del San Marco nel 2006. Ma Libia e Libano in comune hanno solo la L iniziale, e il diavolo, malignamente, ci ha messo lo zampino.

Oggi, la situazione è sotto gli occhi di tutti. L’accordo al tavolo del delegato Onu Bernardino Leon potrebbe forse concludersi, ma solo tra i moderati di Tobruk e Tripoli. Ottimo, ma le milizie armate ben difficilmente si metterebbero al servizio di un governo unitario disarmato, e dopo poco tornerebbe tutto come prima. Nel frattempo, gli ex-gheddafiani, che ci considerano traditori di un accordo siglato e ratificato tra governi, a Tripoli ci distruggono per l’ennesima volta il cimitero. A Tobruk il governo “legittimo” minaccia ritorsioni contro le navi italiane che recuperano i migranti sui barconi, mentre quello “illegittimo” di Tripoli fa lo gnorri sul rapimento dei quattro tecnici italiani. Sembrerebbe proprio che, non si comprende come, siamo riusciti ad inimicarci tutti. ANCHE la nostra leadership nella forza di stabilizzazione, ripetutamente annunciata dal presidente del Consiglio, che in attesa delle decisioni dell’Onu e dell’esito del tavolo di Leon ha già posto in stand-by uno dei nostri migliori generali, è ora messa in forse dai nostri tentennamenti su Siria e Iraq. Mentre, sottobanco, i soliti francesi e inglesi ci stanno segando l’erba sotto le scarpe. E allora, addio sogni di gloria? No, per fortuna c’è sempre l’Eni…