Giovedì 16 Maggio 2024
GIOVANNI BOGANI
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"Io, fra Tornatore e Batman". Il fascino dandy di Jeremy Irons

Il divo inglese e l’Italia: "Che piacere lavorare con i vostri maestri". E sul film: "Sarò il maggiordomo dell'uomo pipistrello in un blockbuster scritto con il cuore"

Jeremy Irons, 66 anni (Olycom)

Jeremy Irons, 66 anni (Olycom)

Lucca, 21 marzo 2015 - ERA BELLO vederli insieme, ieri, per le vie di Lucca, Jeremy Irons e Giuseppe Tornatore. Sorridenti, come due amici. In realtà curiosi l’uno dell’altro. Un Oscar ciascuno. A parte questo, diversissimi. Jeremy Irons alto, snello, elegante, leggero. Un airone. Un po’ “bad boy” e un po’ dandy. Sa di piacere, e non gli dispiace affatto. Capello lungo e stivali, occhiali da sole, in una mattinata luminosa e calda, di quelle che odorano di primavera. Tornatore, vicino a lui, giaccone e barba sale e pepe, appena arrivato, un po’ arruffato, ispido, cespuglioso. Si annusano, si riconoscono simili, nell’unica lingua che accomuna un ragazzo nato nell’isola di Wight, e poi finito a fare mille cose prima di fare l’attore, e un ragazzo nato a Bagheria, profonda Sicilia, pane sudore e fantasia. Quella lingua è il cinema.

TRA POCO, Irons e Tornatore inizieranno a girare “La corrispondenza”, il film a cui Tornatore pensa da due anni. Insieme a Jeremy Irons ci sarà l’attrice ucraina Olga Kyrilenko. Irons è a Lucca come ospite d’onore del Lucca film festival, che gli ha consegnato ieri sera il premio alla carriera.

Mr. Irons, che tipo di lavoro sarà quello con Giuseppe Tornatore?

«Non posso dire molto, per ovvi motivi: prima di tutto perché dobbiamo ancora cominciare a girare. Sarà una storia di comunicazione, forse d’amore, tra due astrofisici. Proprio oggi riguarderemo alcuni dettagli della sceneggiatura con Tornatore».

Sarà anche nel cast del prossimo Batman, “Batman contro Superman: l’alba della giustizia” di Zack Snyder.

«Sì: lì interpreto Alfred Pennyworth, il maggiordomo – ma anche un po’ la guardia del corpo e l’angelo custode – di Batman. Il film uscirà nel marzo 2016. E a chi può pensare che sarà un blockbuster, un film pensato per il successo commerciale, beh, io non ho niente contro i blockbuster, se sono fatti col cuore».

A quali altri film ha lavorato?

«Ad altri due, negli ultimi mesi. Il primo si chiama “The Man Who Knew Infinity”, l’uomo che conosceva l’infinito, diretto da Matt Brown. Parla di un grandissimo matematico indiano, Srinivasa Ramanujan, che approdò a Cambridge nel 1913. No, io non sono il matematico indiano!», ride. «Interpreto G. H. Hardy, il professore di matematica che per primo ne riconobbe il genio, e che lo strappò dall’oscurità in India, per portarlo a Cambridge».

E poi?

«Il secondo si chiama “Race”, la corsa. Una coproduzione franco/tedesco/canadese sulle Olimpiadi di Berlino del 1936, in cui trionfò Jesse Owen, nero americano. Il regista è l’australiano Stephen Hopkins. Io interpreto il presidente del comitato olimpico, che fu sottoposto a fortissime pressioni per non invitare gli atleti neri americani nella Germania nazista. Un uomo che seppe rimanere forte nelle sue convinzioni, tenendo lo sport separato dalla politica».

A quale dei suoi molti personaggi si sente più legato?

«A tutti. Mi sento una stanza che ogni volta viene svuotata, quando finisco un film. Ma nella stanza rimangono le tracce delle persone che sono passate: un profumo, il fumo di un sigaro… Porto dentro me l’impressione, il profumo di tutti i personaggi che mi hanno abitato».

Che relazione ha con l’Italia?

«Ho girato con Bernardo Bertolucci, una delle persone più squisite e gentili del mondo, “Io ballo da sola”. E poi con Zeffirelli “Callas Forever”. Ricordo la campagna toscana attraversata in moto, finite le riprese con Bertolucci, per tornare in Gran Bretagna. Un paese splendido. E sono molto addolorato per l’attentato a Tunisi, e mi sento vicino alle famiglie dei turisti italiani vittime del terrorismo».