Giovedì 16 Maggio 2024
CESARE DE CARLO
Esteri

Il voto bianco vuole Donald

Unstoppable? Prima era un interrogativo. Ora una realtà. La nomination repubblicana è di Donald Trump. Dana Milbank si è dovuto rimangiare la sua colonna sul Washington Post. L’aveva promesso. Non farà più previsioni. E fa bene. Carta e inchiostro sono indigesti. Anche perché l’impensabile diventato certezza rischia di anticipare qualcosa di ancora più impensabile: e cioè che a novembre il 45° presidente degli Stati Uniti, e teoricamente – nonostante Obama – l’uomo più potente del mondo diventi appunto l’eccentrico miliardario.

Un sondaggio Pew lo pone alla pari con la democratica Hillary Clinton. Due mesi fa il distacco era abissale. Eppure Trump non ha fatto nulla per attenuare la sua immagine caricaturale. Non ha recuperato il voto ispanico, che è essenziale, come avverrà in Italia quando bisognerà fare i conti con il voto musulmano. Neri, ebrei, omosessuali, gran parte delle donne lo detestano.

Il suo linguaggio è approssimativo, rozzo. Parla come un ragazzo di 12 anni, scrive Allison Jane Smith sul Washington Post. Ma il titolo precisa: parla come dovrebbero parlare tutti i politici. Hemingway si vantava: chi mi legge non ha bisogno del vocabolario. Una sorpresa? Non per gli italiani. Grillo va considerato un antesignano. I suoi vaffa si sono tirati dietro un quarto dell’elettorato. E, come Grillo, Trump ha un approccio dittatoriale all’interno del movimento. È opaco sulla sua etica fiscale. È ampiamente contestabile nella sua abilità manageriale, avendo al suo attivo, anzi al suo passivo una dozzina di fallimenti e 1200 cause civili. E poi è tutt’altro che un conservatore.  

L’altro giorno si è detto d’accordo con Bernie Sanders, il veterosocialista democratico: su Hillary Clinton, «disonesta e schiava» di Wall Street, contro i trattati economici che distruggono jobs, contro l’interventismo militare escluso ovviamente per il terrorismo. Insomma, appare più a sinistra della rivale e ha spaccato il partito repubblicano.  Ma allora perché è inarrestabile almeno sinora? Semplice: ha dietro di sé la rabbia e la frustrazione dell’elettorato bianco. Un elettorato in declino. Era il 62 per cento quattro anni fa. Sarà sotto il 60 in novembre. E negli States intossicati dal politically correct, come in Europa, si vota contro e non pro. È in gioco la sopravvivenza.