Lunedì 29 Aprile 2024

Mani Pulite, da Mario Chiesa alle monetine di Craxi

L'anniversario dell'inchiesta che scoprì il pentolone di radicato malaffare della politica italiana e diede il colpo di grazia alla Prima Repubblica

Antonio Di Pietro in un'immagine del 1995 (Ansa)

Antonio Di Pietro in un'immagine del 1995 (Ansa)

Roma, 17 febbraio 2017 - Il viso contratto di Bettino Craxi, bersaglio dalle monetine dei contestatori fuori dall'Hotel Raphael di Roma. L'aula magna praticamente deserta del Palazzo di Giustizia, a Milano, dove si è celebrato l'anniversario di Mani Pulite. I due estremi – rabbia e rassegnazione, dice qualcuno – di una storia lunga 25 anni, quella di Tangentopoli, dell'inchiesta che scoprì il pentolone di radicato malaffare della politica italiana e che diede il colpo di grazia alla Prima Repubblica. Un ciclone che segnò il rapido declino o la scomparsa di forze come Dc, Psi, Psdi e Pli, che fino ad allora avevano guidato il Paese. Uno tsunami giudiziario fatto anche di manette e carcere, di gogna pubblica, di suicidi – i più noti, quello del deputato socialista Sergio Moroni e del presidente Eni Gabriele Cagliari, ma alcune fonti ne elencano una trentina tra 1992-94 – su cui, ciclicamente, si torna a discutere e polemizzare.

PER UN PUGNO DI LIRE - Ma è bene iniziare dal principio. Cioè da quella tangente di 7 milioni di lire consegnata dall'imprenditore Luca Magni a Mario Chiesa, esponente socialista e presidente di una casa di cura milanese, il Pio Albergo Trivulzio. I soldi della mazzetta, però, sono segnati – una banconota ogni dieci è firmata dal pm Antonio Di Pietro – e quando i carabinieri entrano, colgono Chiesa sul fatto. Da lì, il pool – formato, oltre che da Di Pietro (che sarà poi sostituito da Ilda Boccassini dopo aver smesso la toga), Gerardo D'Ambrosio, Francesco Saverio Borrelli, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo – scoperchia una sorta di Vaso di Pandora, un sistema in cui, per partecipare agli appalti pubblici, molti titolari di imprese venivano costretti a foraggiare i partiti.

Una serie di inchieste concatenate porta a mettere sotto processo un'intera classe politica, con numeri da record: 4.520 persone sono state indagate nel solo filone milanese di Mani Pulite. Tra questi, quasi un parlamentare su quattro, tra 1992 e 1994, è stato coinvolto nelle indagini. L'Italia era in crisi: il 1992 è l'anno dell'ultima svalutazione della lira, il malessere veniva acuito dalle cifre che si leggevano sui giornali, il costo della corruzione era stimato in 10 miliardi di lire all'anno. I processi, come quello a Sergio Cusani, furono seguitissimi: sfilarono davanti ai pm, tra gli altri ex ministri ed ex sottosegretari, leader importanti come il socialista Bettino Craxi e il democristiano Arnaldo Forlani. In tre anni furono mandate a processo più di 1.300 persone, di queste 661 vennero condannate e 476 assolte (ma solo 117 nel merito).

L'EREDITA' - Difficile dire cosa resti oggi di quegli anni, raccontati anche nella recente fiction 1992. Oltre a essere lo spartiacque che aprì alla cosiddetta Seconda Repubblica, si può collocare lì il germe dell'antipolitica. Per Antonio Di Pietro, 'invece di cercare una cura, il sistema ha reso il ceppo resistente al vaccino' e dunque la corruzione non è stata sconfitta, ma anzi la classe politica ha impedito, con leggi e escamotage, l'individuazione delle condotte illecite. Per altri, invece, dall'epoca di Mani Pulite si è affermata la sudditanza della politica alla magistratura, e dunque si pone il problema dei tanti avvisi di garanzia che, pur non portando necessariamente al processo, stroncano la carriera dei politici per la sola eco mediatica. Difficile spiegare la rivoluzione di quegli anni, con luci e con le inevitabili ombre, a un ragazzo oggi ventenne. Certo, l'aula vuota di Milano racconta di un Paese che fatica a fare i conti col proprio passato.