Giovedì 16 Maggio 2024

Un Paese ripiegato

Roma, 3 dicembre 2016 - Gli anni del «letargo esistenziale collettivo» – una sorta di limbo italico, fatto di «mezze tinte, mezze classi, mezzi partiti, mezze idee e mezze persone» – cedono il passo alla «seconda era del sommerso», non più pre-industriale, ma post-terziaria. Un’era fatta di rentier in nero e Millennials impoveriti, cerniere élite-popolo che vengono meno e «parallelo rintanamento chez soi» di mondo politico e corpo sociale, dentro la crisi profonda delle istituzioni.

Sembra la diagnosi «difficile», per non dire incomprensibile – nel linguaggio – di un medico, un anatomo-patologo per i pessimisti, un rianimatore per i più ottimisti (si fa per dire). E in qualche modo lo è. Ma le solitamente immaginifiche definizioni usate dai fisiatri del Censis per raccontare lo stato d’animo delle nostre comunità sono anche traducibili in formule più concrete. E lo è anche anche quella offerta dal 50° Rapporto, l’ultimo sotto la regia di Giuseppe De Rita.

Ebbene, la traduzione rinvia all’emersione crescente di una generazione di ventenni-trentenni che per la prima volta nella storia saranno più poveri dei loro padri e addirittura dei loro nonni. E la povertà non è tanto o solo nei redditi largamente al di sotto di quelli che percepiscono genitori e fratelli maggiori. La povertà è anche o soprattutto nel venir meno di quelle reti di protezione e di quelle certezze che hanno fatto la constituency del ceto medio italiano nel corso del Novecento: la casa e la pensione sicura, il posto stabile e l’articolo 18, i figli e la speranza di vederli laureati e sistemati, la fiducia nel conto in banca e un gruzzolo di titoli di Stato risparmiati. Per i Millennials è archeologia di welfare e resti di quel pane e le rose che hanno dato alimento all’Italia che cresceva, esportava, includeva. E invece oggi, nel silenzioso andare del tempo, la società continua solo a funzionare nel quotidiano, a ruminare gli input esterni, a cicatrizzare le sue ferite.