Giovedì 16 Maggio 2024

Colle, siglata la tregua a sinistra. Napolitano verso l’addio mercoledì / VIDEO

Il presidente pronto a lasciare. Pace fredda tra il premier e Bersani di Ettore Maria Colombo

Piazza del Quirinale (Ansa)ROMA Napolitano nel «suo Rione Monti

Piazza del Quirinale (Ansa)ROMA Napolitano nel «suo Rione Monti

ROMA, 12 GENNAIO 2015 - NONOSTANTE l’allarme terrorismo che dilaga nel mondo e nonostante il pressing del premier, che non ha mai smesso di chiedergli un rinvio, sia pur breve (una/due settimane) per completare l’iter delle riforme istituzionali ed elettorale, Napolitano sembra non intenda ritardare neppure di un giorno le dimissioni dalla data che ha fissato da tempo. Quella di mercoledì prossimo, 14 gennaio. Napolitano si è congedato da tutti (dal Papa alla regina Elisabetta fino a Obama) e non gli resta che l’atto formale e personalissimo delle dimissioni. Atto «immediatamente operativo e irrevocabile», spiegano i costituzionalisti, che non abbisogna di alcuna controfirma. Nel giro di un’ora, mentre le sue dimissioni verranno consegnate dai motociclisti del Colle ai presidenti di Camera, Senato e del governo, Napolitano riceverà gli onori militari in forma ufficiale (a corazzieri schierati) nel cortile d’onore del Quirinale e abbandonerà per sempre il Palazzo, insieme al suo già arrotolato stendardo presidenziale, che da allora non sventolerà più sul ‘Torrino’ del Colle.

OGNI PRESIDENTE ha la sua bandiera personale (Napolitano ha mantenuto quello adottato da Ciampi) e potrà portarselo a casa sua, a vicolo dei Serpenti (rione Monti, poco distante). Gli scatoloni (libri, cimeli) sono già stati trasferiti all’ufficio di palazzo Giustiniani che gli spetta come senatore a vita. Da quel momento, mercoledì prossimo, le funzioni di capo dello Stato ‘supplente’ verranno svolte, fino al giuramento del successore, dal presidente del Senato, Pietro Grasso. Poteri limitati che copriranno i quindici giorni necessari per comporre il Parlamento in seduta comune e i giorni necessari per l’elezione del nuovo presidente.

E qui iniziano i guai, specie per Renzi. Il premier si augura «un bel segnale» (un’elezione rapida), ma riconosce anche che, nei primi tre scrutini, a maggioranza qualificata (675 voti), l’auspicio è quasi impossibile.

RENZI punta, dunque, al IV scrutinio, quando basteranno 505 voti, non fosse che per battere in positivo il record (negativo) di Bersani del 2013. E proprio con Bersani avrebbe stretto una ‘pace fredda’ al fine di far rientrare il più possibile i franchi tiratori del Pd. I numeri ‘di carta’ sorridono a Renzi: i grandi elettori di Pd (446), Area Popolare (77) e alleati minori fanno 598, in tutto. Sommati ai 143 di FI si arriva anche oltre la cifra indicata dal capogruppo Pd alla Camera Speranza, e cioè a 741. Una cifra astronomica. I due precedenti di elezioni semi-plebiscitarie (Ciampi: 707 voti; Napolitano-bis: 738 voti) sarebbero persino battuti. La realtà rischia di dire altro, ma i quaranta dissidenti seguaci di Fitto dentro FI, sommati ai centristi inquieti (40), possono nuocere solo se, dentro il Pd, il malessere crescesse ben oltre i 101 di Prodi 2013. Nella rosa che Renzi sottoporrà ai Grandi elettori del Pd salgono le quotazioni di Veltroni, Fassino e Finocchiaro (ex Ds, sempre in un ottica di pax interna), ma ci sono pure Mattarella, Castagnetti, Franceschini (ex Ppi), più graditi a FI. Solo il nome di Padoan è uscito per sempre dai radar e quello di Romano Prodi resiste, ma come ultima spiaggia.

di Ettore Maria Colombo