Lunedì 20 Maggio 2024

Carceri, un altro impiccato a Regina Coeli

Dall'inizio dell'anno 23 morti dietro le sbarre: i detenuti si tolgono la vita in misura dalle 15 alle 18 volte superiore rispetto alla popolazione libera. Altri 37 reclusi sono morti nei penitenziari per malattia, per overdose o per motivi che ancora sono tutti da chiarire

Un detenuto dietro le sbarre

Un detenuto dietro le sbarre

Milano, 20 luglio 2015 - Un altro detenuto è stato trovato impiccato nel carcere di Regina Coeli. All'arrivo dell'ambulanza del 118 non c'era più nulla da fare. Secondo quanto si è appreso, si tratta di uno straniero di 18 anni ed era in isolamento. È il secondo suicidio in 24 ore nel carcere romano dopo quello del presunto killer del gioielliere Giancarlo Nocchia.

Il secondo suicida, giovanissimo, era uno dei presunti omicidi del truccatore dei vip Mario Pegoretti nella Pineta Sacchetti. Lo straniero, di nazionalità romena, era stato arrestato a fine aprile dai carabinieri, insieme a un connazionale. 

I MORTI DIETRO LE SBARRE - Giovanni, Bruno e molti altri. A tenere aggiornato il bollettino dei lutti nelle istituzioni carcerarie è il centro studi di Ristretti Orizzonti. E poi Calogero, Giovanni, Bruno e troppi altri.  Dall'inizio dell'anno 23 persone detenute si sono tolte la vita in cella o in un ambiente confinato, come è successo con il ragazzo di 22 anni che si è lanciato fuori da una finestra della questura di Milano. Altri 37 reclusi sono morti nei penitenziari per malattia, per overdose o per motivi che ancora sono tutti da chiarire.

I nomi e i cognomi dei morti dietro le sbarre riempiono decine di pagine. Dal 2000 a ieri si contano 2.432 decessi, 868 dei quali per suicidio. Uno stillicidio continuo, inarrestabile, per il senatore Luigi Manconi, fondatore di 'A buon diritto' e autore del libro -provocazione 'Abolire il carcere': "Purtroppo l'ultimo caso conferma quello che denunciamo da sempre. Il carcere è una macchina che produce morte, stress, patologie, sintomi. Si tolgono la vita i detenuti, in misura dalle 15 alle 18 volte superiore rispetto alla popolazione libera. E lo fanno anche gli agenti. Nella polpenitenziaria ci sono stati 100 suicidi in una decina d'anni". 

Per indagati e condannati i momenti peggiori sono quelli iniziali, l'impatto con l'istituzione. Lo conferma Ornella Favero, direttrice di Ristretti orizzonti: "Il primo contatto con il carcere, e con te stesso e le tue responsabilità, è drammatico, devastante. Eppure manca l'ascolto di queste persone, manca il personale che le affianchi. Si è calcolato che gli psicologi sono talmente pochi che possono spendere sei minuti all'anno per ogni persona che hanno in carico, che sta male". Il sistema, a suo parere, "è sbilanciato verso la sicurezza, anziché verso gli individui reclusi e i loro bisogni". E allora, suggerisce Favero, "bisognerebbe lavorare sulla formazione del personale della polpenitenziaria e mettere in campo più operatori da dedicare all'ascolto e alla presa in carico delle persone con disagi". 

A livello centrale, presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, da una decina d'anni è attiva l'Unità di monitoraggio degli eventi suicidiari, burocratica denominazione di un gruppo di superesperti. Pietro Buffa, storico direttore del carcere torinese delle Vallette e provveditore dell'amministrazione penitenziaria per l'Emilia Romagna, ne fa parte. E spiega: "Valutiamo i casi e cerchiamo di prospettare soluzioni, raccordandoci con le regioni, da cui dipendono le asl impegnante nei singoli istituti. Sono le stesse regioni a tradurre in protocolli concreti quello che deve essere l'approccio integrato tra la sanità e l'amministrazione penitenziaria. Un esempio? Si definiscono e si applicano i criteri con cui valutare il rischio di suicidio dei singoli detenuti. Un altro? Si elencano le cose cui va prestata più attenzione, in funzione preventiva. Purtroppo non è così semplice. Ma è anche vero che parecchi tentativi di suicidio vengono sventati".