Milano. 22 mar. (askanews) - Nonostante l'Italia vanti un patrimonio idrico fra i più ricchi in Europa, la riduzione delle precipitazioni e l'aumento delle temperature stanno determinando una progressiva diminuzione della disponibilità idrica e un'intensificazione delle crisi, evidenziando la vulnerabilità dell'infrastruttura idrica. Di questo si è occupato uno studio di Arthur D. Little Italia, intitolato "Patrimonio idrico italiano, investimenti e una nuova governance per accrescere la competitività del Paese e affrontare le sfide del futuro" "L'Italia - ha detto ad askanews Irene Macchiarelli, partner di Arthur D. Little, specializzata in infrastrutture energetiche e idriche - è un Paese con un importante patrimonio idrico, ma caratterizzato da un'infrastruttura vetusta, esposta a perdite di rete che sono circa il 40%. Lo vediamo perché le perdite di rete sono circa il 40%, chiaramente al sud sono più elevate e sfiorano il 50%, le interruzioni del servizio al nord sono meno di un'ora, nel sud e nelle isole raggiungono nei 200 ore. Sono pochi dati, ma che chiariscono la differenza tra nord e sud e la poca resilienza dell'infrastruttura attuale ad affrontare i cambiamenti climatici". Questo accade perché l'infrastruttura idrica italiana è anche poco interconnessa e poco digitalizzata, e quindi più fragile. Partendo dai dati di fatto lo studio di Arthur D. Little si muove poi sul territorio dei possibili interventi e delle possibili soluzioni. "Da un lato la messa a terra di un piano di interventi importante che possa consentire di rinnovare l'infrastruttura esistente - ha aggiunto la partner di Arthur D. Little - ma anche di realizzare nuove infrastrutture e nuovi impianti, soprattutto nelle fasi di captazione e quindi prelievo dell'acqua e poi di depurazione. Sicuramente il PNRR, sta andando in questa direzione, rappresenta un'opportunità da non farsi sfuggire, ma è importante che ci sia una programmazione centrale a livello di intervento. Il secondo binario altrettanto importante e sul quale ci siamo focalizzati nello studio è il miglioramento e la semplificazione del modello di governance" Nel dettaglio l'auspicio è quello di passare da una situazione attuale, con 190 gestori da oltre 1400 gestioni in economia comunale a una con una sessantina di gestori. Partendo però dalla considerazione che il modello di governance e di gestione esistente non sia da stravolgere completamente. "Bisogna accelerare - ha concluso Irene Machiavelli - bisogna far sì che la riforma venga completamente implementata e che si evolva verso un maggior consolidamento del settore. Gestioni più grandi sono gestioni più sostenibili, che hanno maggiore capacità di investimento, maggiore capacità gestionale e maggiore capacità di innovazione". Il modello di gestione piccola e al 100% pubblica invece secondo lo studio non può garantire al settore il cambio di passo auspicato.
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