Mercoledì 24 Aprile 2024

Conte non è mai per sempre

Paolo Grilli

Tre indizi fanno una prova. Antonio Conte è un maestro nell’alzare i giri di una squadra, un virtuoso nello spremere ogni stilla di energia dal gruppo. Ma poi, che i risultati arrivino o meno – quasi sempre un trofeo lo vince – subentra presto una freddezza da sfinimento che finisce per travolgerlo. E si passa subito ai saluti.

E’ successo con Juve, Inter e Tottenham. Certo l’ultima avventura del tecnico si è chiusa bruscamente anche per le ferite che la stagione gli ha inflitto: le perdite di Vialli e Ventrone, l’operazione che lo ha costretto ai box. Ma l’addio al veleno agli Spurs, se da un lato ha rappresentato un inedito visto lo sfogo contro i suoi stessi giocatori, dall’altro ha riproposto il copione di un allenatore dalle mire assolute alle prese con i compromessi del quotidiano del pallone. Quelli che nascono dal doversi districare tra risorse non infinite e giocatori “umani“.

Conte come una microonda, imbattibile nel breve periodo. Ma che poi, presto, inevitabilmente cambierà lido. Questo calcio mastica già i tecnici alla massima velocità. Vedi Nagelsmann, o Tuchel, costretto a migrare senza pace da una big all’altra. Non torneranno più le bandiere alla Ferguson: anche i tifosi non hanno più pazienza, ormai. E le sconfitte pesano più dei successi. L’eccezione è Ancelotti, uno che conquista (quasi) per sempre soprattutto i giocatori. Lo sanno bene in Brasile.