Mercoledì 24 Aprile 2024

Bologna-Milan, l’Europa è una distrazione

Sansone illude i rossoblù che speravano di risalire ancora, Pobega raddrizza un Diavolo di scorta che pensa già alla Champions

Bologna-Milan, l’Europa è una distrazione

Bologna-Milan, l’Europa è una distrazione

di Gianmarco Marchini

Avevano entrambi l’Europa in testa: pensiero dolce, ma pericoloso. Non è poi un caso che, alla fine della fiera delle ambizioni, sia uscito un pareggio. Il Bologna ha balbettato per l’emozione di un sogno europeo diventato meta reale dopo l’exploit di Bergamo. Il Milan, invece, guardava da un’altra parte, catturato dall’orizzonte di una possibile semifinale di Champions. Pioli recrimina ferocemente per l’arbitraggio di Massa, puntando il mirino della sua rabbia su due episodi: il pestone di Soumaoro a Rebic (7’) e il mani di Lucumì in coda alla partita (89’). Tutto materiale che si presta a ingrossare il faldone delle polemiche. Contesta il mancato ricorso al Var, il tecnico campione d’Italia, ma forse si ritroverà a riflettere anche sulla bontà della sua scelta shock, quella di presentare una formazione inzeppata di seconde linee. Inedita la difesa, inedito il centrocampo.

E’ andato all-in su Napoli, Pioli, sfruttando la stazione di Bologna come sosta per far scendere i migliori: fuori dieci-undìcesimi della squadra che ha battuto Spalletti nell’andata dei quarti e che martedì dovrà provare a completare l’impresa al Maradona. Unico superstite, l’insostituibile Maignan: una rivoluzione clamorosa che, però, costa ai rossoneri altri due punti pesantissimi nell’economia di una corsa alla prossima Champions che si giocherà fino all’ultimo minuto disponibile.

L’effetto collaterale di questa metamorfosi del Diavolo si è manifestato subito: nemmeno trentacinque secondi che Posch sguscia via sulla destra e crossa, con Sansone che anticipa Kalulu e rende indietro al Milan il favore-scudetto di un anno fa. L’impressione è che Thiago Motta possa davvero riscrivere quella storia che dal 2002 vede i rossoblù incapaci di battere i rossoneri tra le mura di casa. A maggior ragione, con un Dall’Ara gonfio come ai tempi d’oro (29. 024 presenti, record stagionale). Ma quella di Sansone si rivela un’illusione.A rianimare il Milan ci pensa proprio il Bologna che dopo il gol-lampo smette praticamente e inspiegabilmente di giocare, consegnandosi alla reazione nervosa dei rossoneri che trovano in Rebic (capitano delle riserve) il condottiero pasticcione e in Pobega l’uomo della svolta. O meglio: della mezza svolta. Perché il centrocampista ex Toro trova l’uno a uno con un bellissimo sinistro dal limite dell’area, ma i campioni d’Italia non trovano più la strada per piazzare il sorpasso. Come con l’Empoli, Pioli prova a rimediare in corsa, costretto ad attingere a piene mani dalla panchina. Butta dentro in due tranche (12’ e 25’) Calabria, Messias, ma soprattutto Leao e Brahim Diaz e proprio sull’asse creato da questi ultimi due arrivano le occasioni più nitide per il Milan: Rafa pesca Pobega (29’) sul cui tiro a botta sicura si intromette Lykogiannis; poi nei dieci minuti finali il portoghese serve due palloni meravigliosi che il ’diez’ rossonero dilapida. Al fischio finale, lo sguardo di Giroud, congelato per la notte di Napoli, è la fotografia dell’inquietudine rossonera, tra un quarto posto che resta appeso a un filo e un quarto di Champions che è teso come un filo, dell’alta tensione.

La partita del Dall’Ara lascia conferme a entrambe le squadre, anche se dal sapore opposto. Restituisce al Bologna del rampante Thiago la certezza che potrà giocarsela fino alla fine e con merito per trovare un posto a bordo del treno che va in Europa. E’ vero, non è stato il Bologna bello e autoritario capace di battere l’Inter, l’Atalanta e di imporre il pari alla scatenatissima Lazio. Ma Motta, ieri, aveva anche il grosso alibi di dover rinunciare al suo uomo più in forma, quell’Orsolini squalificato, dando ormai per scontata l’assenza dell’uomo migliore, Arnautovic. Il pari, invece, lascia a Pioli una sola amara verità: con questa rosa può puntare a una sola competizione, perché con l’altra, quella dei vari Origi, De Ketelaere e Rebic, non si va molto lontano.