Benessere

Perché l’isolamento sociale è una vera malattia, che cambia il nostro cervello e peggiora la vita

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Quando stiamo in gruppo, tra amici, a un concerto, a un evento pubblico, tendiamo a essere eccitati. Perché? Sì un concerto può essere esaltante, ma non è questo: non ci sentiamo bene per il contenuto degli eventi ma perché il cervello umano si è evoluto specificamente per sostenere le interazioni sociali. E appartenere a un gruppo può portare a un miglioramento del benessere e a una maggiore soddisfazione della vita. Al contrario, l’isolamento sociale finisce per cambiare la struttura del nostro cervello e a peggiorare la qualità della vita. Lo spiega in modo scientifico uno studio internazionale (UK e Cina), che mette in evidenza i rischi dell’isolamento.

 

Le conseguenze dell’isolamento

Lo studio, pubblicato su Neurology, ha visto i ricercatori utilizzare la grande mole di dati conservata nella Biobank inglese, a partire dalla teoria secondo cui se il cervello umano si è evoluto per l’interazione sociale, dovremmo aspettarci che la solitudine influisca in modo significativo. I risultati dell’analisi dei dati sul cervello di 500 mila persone sono stati confrontati con quelli di studi precedenti sulla mappatura delle regioni cerebrali di 32 mila persone tramite risonanza magnetica, e dimostrano in effetti che l’isolamento sociale è legato a cambiamenti nella struttura cerebrale. Ma c’è di più: la solitudine provoca anche una degenerazione delle facoltà cognitive e comporta persino un aumento del rischio di demenza negli adulti più anziani.

Fondamentale il fatto che le regioni cerebrali coinvolte in diverse interazioni sociali sono fortemente collegate alle reti che supportano la comprensione dei concetti e delle emozioni.
Le persone che sono state classificate come socialmente isolate (chi viveva da solo, aveva contatti sociali diradati e partecipava a poche attività sociali) sono quelle con facoltà cognitive più scarse: memoria, tempi di reazione e volume di materia grigia in molte parti del cervello sono inferiori a quelle di chi invece conduceva una vita socialmente più attiva.

 

Lotta contro l’isolamento sociale

La regione temporale (che elabora i suoni e aiuta a codificare la memoria), il lobo frontale (coinvolto nell’attenzione, nella pianificazione e nei compiti cognitivi complessi) e l’ippocampo (area chiave coinvolta nell’apprendimento e nella memoria) sono le più danneggiate dall’isolamento. E il rischio di demenza aumenta: 12 anni dopo la prima analisi, i partecipanti socialmente isolati rivelavano un rischio di demenza aumentato del 26%.

Risulta chiaro che chi è isolato ha probabilità di soffrire di stress cronico, con un forte impatto sul cervello e sulla salute fisica.
L’isolamento sociale è dunque un fattore chiave per la salute umana e merita altri studi di approfondimento per indagare gli esatti meccanismi alla base dei suoi effetti sul nostro cervello.

Gli autori indicano alcune strade per la prevenzione: una dieta sana, l’esercizio fisico, lo sviluppo di trattamenti migliori per l’invecchiamento e la demenza. Ma anche la costruzione di una solida “riserva cognitiva”, cioè imparare cose nuove, come un’altra lingua o lo studio di uno strumento musicale, per mantenere il cervello attivo.
E, soprattutto, la lotta all’isolamento sociale, specie in età avanzata, da parte delle autorità sanitarie.

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