Nata negli anni Settanta, la mindfulness è una pratica di auto-consapevolezza e meditazione derivata da un’applicazione “laica” dei precetti buddisti. Viene utilizzata nella terapie per curare patologie psicologiche e ridurre lo stress, l’ansia e la depressione, ma si è anche diffusa in versioni popolari, più o meno alleggerite e di facile consumo. Tuttavia, l’eccesso di semplificazione può portare a fraintenderne certi principi e a ignorarne altri, e così si spreca parte della sua efficacia. Per usare le parole di un nuovo studio fresco di pubblicazione, condotto da diverse università canadesi: “Anche se le persone capiscono il concetto di mindfulness, lo applicano nel modo sbagliato”.
In particolare, molti “profani” confondono i passaggi della consapevolezza e dell’accettazione di un problema, un’esperienza o una sfida della vita, a cui deve seguire la volontà di affrontare i fattori di stress scovati, con un’accettazione puramente passiva. Senza passare all’azione, insomma, la mindfulness così praticata si riduce all’equivalente di una scrollata di spalle, o di nascondere la polvere sotto al tappeto, che a poco serve per risolvere la fonte del malessere.
I ricercatori, un team composto da psicologi e neuroscienziati, sono giunti a questa conclusione dopo aver effettuato un’analisi incrociata (meta analisi) di 145 studi sull’argomento, che riguardavano in totale 42mila persone. In particolare, volevano capire quanto la gente comprende effettivamente il senso della mindfulness e fino a che estensione quindi la applicano.
“Sebbene abbiamo scoperto che le persone sembrano capire, a livello concettuale, che la mindfulness implica anche il confronto con i problemi, il grande pubblico non passa dalle parole ai fatti“, dice l’autrice principale Ellen Choi dell’Università Ryerson; “I risultati suggeriscono che anche quando i ‘profani’ comprendono cosa sia la consapevolezza, possono avere invece poco chiaro il passo successivo, l’accettazione, e ciò limita il potenziale per affrontare i problemi”.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Clinical Psychology Review.
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