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L’amicizia fa bene al cuore: combattere la solitudine

Secondo i ricercatori di Glasgow le persone che socializzano più facilmente hanno anche meno acciacchi

16/01/2024
Crediti ISTOCKPHOTO - L’amicizia fa bene al cuore

Uno dei grandi doni e delle maggiori risorse inestimabili nella vita è l’amicizia. Gli antichi greci, non a caso, la definivano un’anima in due corpi, per indicare il legame speciale che si crea tra due persone distinte, unite da un’affinità elettiva che permette loro di riconoscersi e di volersi bene. Ma ora si sa che avere amici è anche un vero toccasana per il cuore e riduce il rischio di patologie croniche, con un’inevitabile incidenza anche sulle aspettative di vita. È quanto è emerso da un recente studio condotto da ricercatori dell’Università di Glasgow e pubblicato su Bmc Medicine.

 

Stare in compagnia

Gli studiosi del Regno Unito, nelle loro osservazioni, hanno verificato che le persone che vivono con altri, ricevono spesso le visite di familiari e amici e fanno spesso attività ed esperienze di gruppo – per esempio lezioni di canto corale, la partecipazione alla messa e la frequentazione di reti sociali locali e associazioni – risultano più sane e meno soggette a malattie. Dunque esiste un legame molto stretto tra la possibilità di godere di buone compagnie e la durata complessiva della vita.

 

L’effetto benefico delle relazioni amichevoli si riflette sulla salute del cuore, sulla riduzione del rischio di malattie croniche, e incide sull’aspettativa di vita. 

 

Chi trova un amico trova un tesoro, insomma: al di là dei luoghi comuni, è vero anche per quanto riguarda i referti medici. Potersi svagare o anche confidare con qualcuno alleggerisce la mente e l’animo, ma, in generale, favorisce anche l’equilibrio delle funzioni vitali del corpo. “Gli acciacchi sono più evidenti nelle persone incontrano di rado amici e familiari”, ha detto uno degli autori della ricerca, Jason Gill, professore di salute cardiometabolica presso l’Università di Glasgow.

 

Uscire dall’isolamento

Ha aggiunto Hamish Foster, ricercatore clinico presso l’Università di Glasgow: “Ci siamo focalizzati su due diversi tipi di solitudine e tre diversi generi di isolamento sociale. Abbiamo scoperto che ciascuno di questi cinque parametri era associato a un rischio più elevato di morte”. Ha proseguito l’esperto: “Ciò significa che, quando si ha a che fare con problemi come quelli in questione, dobbiamo valutare queste diverse dimensioni sia considerandole separatamente sia valutandole in modo congiunto, come fattori concomitanti, se vogliamo identificare coloro che sono più isolati nella società e offrire loro un supporto”.

 

Analisi precedenti a quella condotta recentemente a Glasgow avevano esaminato anche le correlazioni tra le connessioni sociali, le difese immunitarie delle persone e le abitudini che hanno un impatto sulla propria salute. “Potrebbe darsi che le persone socialmente più isolate possano sviluppare comportamenti più malsani come fumo o consumo eccessivo di alcol, per esempio”, ha sottolineato ancora Foster. Gli ultimi risultati ottenuti in Scozia potrebbero essere indicativi nell’ottica di politiche sociali volte a contenere i fenomeni di isolamento dei singoli individui e favorire il loro reintegro e il reinserimento nella comunità territoriale.