Gonfiore addominale, dolore allo stomaco, acidità e reflusso, sensazione di non riuscire a digerire bene neppure stando legger, bocca impastata, nausea, emicrania e sonnolenza post-prandiale. A che cosa è dovuta questa costellazione di sintomi, pronta a guastarci la vita?
«Un tempo la cattiva digestione veniva attribuita allo stress, incolpato di alterare la secrezione dei succhi gastrici utili a digerire il cibo» spiega il professor Dino Vaira, direttore della Scuola di Specializzazione Medicina D’Emergenza Urgenza e professore Ordinario di Medicina Interna dell’Università di Bologna, e Gastroenterologo presso il Policlinico Sant’Orsola.
«Dai primi anni ‘80 sappiamo che, spesso, lo stress non c’entra nulla. Risale al 1983 la scoperta da parte dell’anatomopatologo Robin Warren e dal suo allievo Barry J. Marshall di un insidioso batterio, ribattezzato Helicobacter pylori. La scoperta rivoluzionò l’approccio diagnostico e terapeutico alla gastrite, vista come la conseguenza di un’infezione allo stomaco da eradicare, esattamente come si fa con tutte le infezioni».
«Non solo per risolvere disturbi digestivi ma anche perché a lungo andare può trasformarsi in qualcosa di serio, cioè in cancro allo stomaco. Però non a tutti i medici viene in mente di prescrivere il test dell’Helicobacter pylori quando si presentano i sintomi di gastrite».
«Inizialmente si ha una forte infiammazione della mucosa gastrica, dovuta a quello che scientificamente viene chiamato ’infiltrato polimorfonucleato’. Continuando a colonizzare e a riprodursi indisturbato all’interno della parete gastrica, il batterio provoca atrofia della stessa e la progressiva distruzione delle ghiandole che secernono acido cloridrico, fondamentale per la digestione. È in questa seconda fase che compaiono le difficoltà digestive e, in alcuni casi, l’erosione della parete dello stomaco può arrivare a provocare l’ulcera gastrica».
«Il terzo step, chiamato metaplasia, vede le cellule dello stomaco trasformarsi in cellule intestinali. Poi, se il quadro è compromesso e l’Helicobacter pylori non viene intercettato e debellato, la situazione degenera e può comparire la displasia gastrica, la forma pretumorale che potrà evolvere poi in un tumore, come dimostra uno studio pubblicato nell’ottobre del 2018 da me e dalla mia équipe di ricercatori del Sant’Orsola sulla rivista Alimentary pharmacology & therapeutics».
«Con la cosiddetta terapia antibiotica sequenziale, che dura dieci giorni. Per i primi 5 giorni si assume amoxicillina, insieme ad un gastroprotettore. Negli altri 5 giorni, un’associazione di due antibiotici, claritromicina e tinidazolo, sempre associati al gastroprotettore. Si ripete il breath test un mese dopo la fine terapia e si vede se l’infezione è stata eradicata. La guarigiobne avviene nel 94% dei casi è guariti e non c’è più rischio che l’Helicobacter torni».
«La terapia antibiotica sequenziale non è priva di effetti collaterali, come nausea, diarrea, dolori addominali, dovuti alla disbiosi intestinale che la cura provoca. Disturbi importanti che a volte spingono il paziente ad abbandonare senza che il batterio sia stato debellato».
«Per risolvere il problema, per cinque anni abbiamo lavorato su ceppi di batteri “buoni”, prelevati da pazienti affetti da ulcera gastrica. Li abbiamo coltivati in laboratorio e modificati in modo da renderli poco sensibili agli antibiotici. Si tratta di Lattobacilli e Bifidobatteri (per la precisione L. Casei, L. Paracasei, L. Acidophilus, B. Lactis e S. thermophilus) che diventeranno presto parte integrante della terapia perché agiscono su due fronti: da un lato contrastano la disbiosi causata dagli antibiotici, dall’altra hanno essi stessi un’azione diretta contro l’Helicobacter, contribuendo alla sua eliminazione. Non a caso abbiamo preso questi ceppi da pazienti infetti, perché sono quelli messi in campo per cercare di arginare l’infezione. La scoperta, frutto del lavoro del mio team, è stata pubblicata nel settembre del 2020 sulla rivista Antibiotics».
Si stima che il 40% di italiani, 25 milioni di persone abbia contratto Helicobacter. Nel 50% dei casi è asintomatica, mentre la restante metà convive con il mal di stomaco e il reflusso gastroesofageo.
L’unico test attendile è il ’breath test’, o test del respiro, che può essere fatto in ospedale o in un laboratorio-analisi (è proposto anche da molte farmacie).
L’esecuzione è semplice: il paziente beve una soluzione con urea marcata da un isotopo di carbonio. Dopo 10 minuti, soffia dentro a una provetta, per analizzare l’espirato. L’Helicobacter, infatti, scinde l’urea in ammoniaca e anidride carbonica: se sono presenti nell’espirato, si ha la conferma dell’infezione.
In questo caso il gastroenterologo in base ai sintomi può prescrivere la gastroscopia: con un tubicino flessibile dotato di una microtelecamera e di una luce a fibre ottiche, viene ispezionata tutta la mucosa gastrica e prelevato un piccolo campione di tessuto da sottoporre a biopsia. Così è possibile stabilire con esattezza lo stadio dell’infezione, l’eventuale presenza di un’ulcera o lesioni pretumorali o tumorali.
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