Medicina

I batteri buoni sconfiggeranno l’Helicobacter

di
Franca Ferri
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Gonfiore addominale, dolore allo stomaco, acidità e reflusso, sensazione di non riuscire a digerire bene neppure stando legger, bocca impastata, nausea, emicrania e sonnolenza post-prandiale. A che cosa è dovuta questa costellazione di sintomi, pronta a guastarci la vita?

 

«Un tempo la cattiva digestione veniva attribuita allo stress, incolpato di alterare la secrezione dei succhi gastrici utili a digerire il cibo» spiega il professor Dino Vaira, direttore della Scuola di Specializzazione Medicina D’Emergenza Urgenza e professore Ordinario di Medicina Interna dell’Università di Bologna, e Gastroenterologo presso il Policlinico Sant’Orsola.

 

«Dai primi anni ‘80 sappiamo che, spesso, lo stress non c’entra nulla. Risale al 1983 la scoperta da parte dell’anatomopatologo Robin Warren e dal suo allievo Barry J. Marshall di un insidioso batterio, ribattezzato Helicobacter pylori. La scoperta rivoluzionò l’approccio diagnostico e terapeutico alla gastrite, vista come la conseguenza di un’infezione allo stomaco da eradicare, esattamente come si fa con tutte le infezioni».

 

 

Perché è fondamentale scoprirla e curarla in tempo?

 

«Non solo per risolvere disturbi digestivi ma anche perché a lungo andare può trasformarsi in qualcosa di serio, cioè in cancro allo stomaco. Però non a tutti i medici viene in mente di prescrivere il test dell’Helicobacter pylori quando si presentano i sintomi di gastrite».

 

 

Anche quando non dà sintomi, l’Helicobacter provoca non pochi guai. Quali?

 

«Inizialmente si ha una forte infiammazione della mucosa gastrica, dovuta a quello che scientificamente viene chiamato ’infiltrato polimorfonucleato’. Continuando a colonizzare e a riprodursi indisturbato all’interno della parete gastrica, il batterio provoca atrofia della stessa e la progressiva distruzione delle ghiandole che secernono acido cloridrico, fondamentale per la digestione. È in questa seconda fase che compaiono le difficoltà digestive e, in alcuni casi, l’erosione della parete dello stomaco può arrivare a provocare l’ulcera gastrica».

 

 

C’è di peggio?

 

«Il terzo step, chiamato metaplasia, vede le cellule dello stomaco trasformarsi in cellule intestinali. Poi, se il quadro è compromesso e l’Helicobacter pylori non viene intercettato e debellato, la situazione degenera e può comparire la displasia gastrica, la forma pretumorale che potrà evolvere poi in un tumore, come dimostra uno studio pubblicato nell’ottobre del 2018 da me e dalla mia équipe di ricercatori del Sant’Orsola sulla rivista Alimentary pharmacology & therapeutics».

 

 

Come si cura?

 

«Con la cosiddetta terapia antibiotica sequenziale, che dura dieci giorni. Per i primi 5 giorni si assume amoxicillina, insieme ad un gastroprotettore. Negli altri 5 giorni, un’associazione di due antibiotici, claritromicina e tinidazolo, sempre associati al gastroprotettore. Si ripete il breath test un mese dopo la fine terapia e si vede se l’infezione è stata eradicata. La guarigiobne avviene nel 94% dei casi è guariti e non c’è più rischio che l’Helicobacter torni».

 

 

Quali controindicazioni?

 

«La terapia antibiotica sequenziale non è priva di effetti collaterali, come nausea, diarrea, dolori addominali, dovuti alla disbiosi intestinale che la cura provoca. Disturbi importanti che a volte spingono il paziente ad abbandonare senza che il batterio sia stato debellato».

 

 

Ed è per questo che sono in arrivo novità importanti: i superprobiotici. Come funzionano?

 

«Per risolvere il problema, per cinque anni abbiamo lavorato su ceppi di batteri “buoni”, prelevati da pazienti affetti da ulcera gastrica. Li abbiamo coltivati in laboratorio e modificati in modo da renderli poco sensibili agli antibiotici. Si tratta di Lattobacilli e Bifidobatteri (per la precisione L. Casei, L. Paracasei, L. Acidophilus, B. Lactis e S. thermophilus) che diventeranno presto parte integrante della terapia perché agiscono su due fronti: da un lato contrastano la disbiosi causata dagli antibiotici, dall’altra hanno essi stessi un’azione diretta contro l’Helicobacter, contribuendo alla sua eliminazione. Non a caso abbiamo preso questi ceppi da pazienti infetti, perché sono quelli messi in campo per cercare di arginare l’infezione. La scoperta, frutto del lavoro del mio team, è stata pubblicata nel settembre del 2020 sulla rivista Antibiotics».

 

 

Test del respiro

 

Si stima che il 40% di italiani, 25 milioni di persone abbia contratto Helicobacter. Nel 50% dei casi è asintomatica, mentre la restante metà convive con il mal di stomaco e il reflusso gastroesofageo.
L’unico test attendile è il ’breath test’, o test del respiro, che può essere fatto in ospedale o in un laboratorio-analisi (è proposto anche da molte farmacie).

 

L’esecuzione è semplice: il paziente beve una soluzione con urea marcata da un isotopo di carbonio. Dopo 10 minuti, soffia dentro a una provetta, per analizzare l’espirato. L’Helicobacter, infatti, scinde l’urea in ammoniaca e anidride carbonica: se sono presenti nell’espirato, si ha la conferma dell’infezione.

 

In questo caso il gastroenterologo in base ai sintomi può prescrivere la gastroscopia: con un tubicino flessibile dotato di una microtelecamera e di una luce a fibre ottiche, viene ispezionata tutta la mucosa gastrica e prelevato un piccolo campione di tessuto da sottoporre a biopsia. Così è possibile stabilire con esattezza lo stadio dell’infezione, l’eventuale presenza di un’ulcera o lesioni pretumorali o tumorali.

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