Test sulla Stazione spaziale internazionale con lembi cutanei coltivati in laboratorio
I processi di guarigione della ferite saranno studiati a bordo della Stazione spaziale internazionale, in condizioni di microgravità, e potrebbero riservare sorprese inaspettate, vantaggi nei convalescenti, nella speranza, chissà magari, di riprodurre le spettacolari rigenerazioni che vediamo materializzarsi al cinema, negli X-Men di Marvel Comics o con l’ultimo Matrix Resurrections.
Dalla fantasia alla realtà, di certo si faranno esperimenti sulla ISS, che saranno ripetuti sulla Terra, per capire meglio le differenze nelle diverse fasi che dal tamponamento della lesione (tappo di fibrina, coagulazione del sangue per fermare l’emorragia) lanciano segnali che rimettono in modo le mitosi cellulari nei tessuti dopo un insulto traumatico, fino a chiudere i margini dei lembi cutanei lesi, con formazione eventuale di una cicatrice o di cheloidi, e ripristino dell’integrità anatomica.
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Partirà il prossimo 7 giugno dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral in Florida l’esperimento, annunciato dall’ufficio stampa dell’Università di Firenze, che si propone di studiare il comportamento delle ferite in un contesto totalmente diverso dal solito, quale è quello orbitale, nel laboratorio sospeso che ruota attorno al nostro pianeta.
Modelli di tessuti umani saranno inseriti in un contenitore apposito, e trasferiti con SpX-25 (Cargo Dragon 2) sulla ISS, Stazione spaziale internazionale, dove verranno monitorati nell’ambito della missione Minerva alla quale partecipa l’astronauta Samantha Cristoforetti. Alla fine di luglio i campioni rientreranno nei laboratori, per essere ulteriormente analizzati. “Suture in Space” è il nome della ricerca di laboratorio, finalizzata a indagare i segreti della guarigione spontanea delle ferite nel corpo umano. Si tratta di un progetto concepito e diretto da Monica Monici (Università di Firenze), selezionato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e supportato dall’Agenzia Spaziale Italiana.
Durante la preparazione dei test, scrivono i promotori, è stata sviluppata una tecnica di coltura di tessuti biologici che permette la loro sopravvivenza per alcune settimane, e potrebbe avere applicazioni in ambito biomedico, per affrontare questioni ancora irrisolte in farmacologia. “Nonostante approfonditi studi – afferma in particolare la prima ricercatrice – siamo ancora qui a chiederci come e perché i mammiferi adulti abbiano perso la capacità di rigenerare i tessuti senza riportare cicatrici. Studiare modelli di ferite in condizioni di assenza di gravità, e quindi con stimoli meccanici estremamente ridotti, potrebbe fornire nuove indicazioni sul tema alla comunità scientifica”. Sarebbe auspicabile, aggiungiamo noi, che dagli studi possano venire indicazioni anche per migliorare la cura delle piaghe da decubito, che si formano nelle persone costrette per lungo tempo in condizioni di infermità. Nella parte conclusiva del comunicato dell’Ateneo fiorentino, accanto a Monica Monici, come componenti del team, figurano i nomi di Marco Bernini, Desiré Pantalone, Francesca Cialdai e Chiara Risaliti.