Con il sostegno di:

Cos’è il Nutriscore, l’etichetta della discordia

Prevede la classificazione dei cibi in base ai contenuti in sale, zucchero, grassi, proteine e fibre. E penalizza la dieta mediterranea

16/04/2023

Da una parte ci sono i classici nutrienti della Dieta mediterranea, dall’altra si fanno avanti i sostenitori del Nutriscore, un logo in cinque colori (dal verde al rosso, intuitivamente come in un semaforo) che dal Nord Europa si vorrebbe introdurre per classificare gli alimenti sulla base del contenuto relativo in sale, zucchero, grassi, proteine e fibre. Una segnaletica europea unificata finirebbe per penalizzare, secondo il centro studi Coldiretti, all’incirca l’85% in valore delle nostre produzioni a denominazione di origine (Dop/Igp), produzioni che la stessa Ue dovrebbe casomai tutelare e valorizzare.

 

Da più di cinque anni si discute per riformulare la materia, allo scopo di migliorare la salute della collettività influenzando gli orientamenti dei consumatori, senza trovare la quadra. L’Italia resta ferma nelle sue posizioni, analogamente a quanto accade nella Repubblica Ceca, nella Grecia e in altre realtà, a tutela della dieta mediterranea. Francia, Belgio, Svizzera, Austria e Germania, diversamente, spingono per unificare il sistema di rating multicolore. L’Associazione europea per la salute pubblica (Eupha) è tornata alla carica con le autorità di Bruxelles, sollecitando una decisione, mentre dall’Italia continua il braccio di ferro, un coro a difesa dei prodotti tipici delle nostre terre. Per il farmacologo Giorgio Cantelli Forti, presidente dell’Accademia nazionale di agricoltura, contrario all’etichetta a semaforo, “tutto fa male se si esagera nelle quantità. Ad esempio, bere troppa birra può predisporre al diabete, certi grassi animali non fanno male in quanto tali ma se ingerisco una quantità eccessiva di burro mi espongo a determinati rischi”.

 

Un sistema di etichettatura preferibile esiste, si chiama Med Index, frutto della collaborazione tra gli esperti della Società italiana di medicina ambientale (Sima) e un gruppo di ricerca dell’Università di Bari, ma questa incontra qualche riserva tra i sostenitori del semaforo anglosassone. Nel dibattito si inserisce Silvia Migliaccio, segretario generale della Sisa, Società italiana di scienze dell’alimentazione, che pone l’accento sulla necessità di evitare interpretazioni soggettive o distorte che verrebbero consultando una etichetta a colori: nelle diete contano le porzioni effettivamente consumate, una dieta sana è composta da tutti gli alimenti nel giusto equilibrio. “Un esempio eloquente – precisa Arrigo Cicero, lipidologo all’Università di Bologna – lo possiamo trovare nelle bevande che contengono molta acqua, come le bibite alla cola, che verrebbero considerate da Nutri- score addirittura più salutari del latte intero. Allo stesso modo un pesce di allevamento verrebbe privilegiato rispetto a un pesce molto più ricco di omega 3, pescato in mare aperto. Così facendo si colpiscono i piccoli produttori di qualità che seguono filiere sostenibili e, paradossalmente, si premiano alimenti industriali ricchi di dolcificanti, solo perché, come singolo componente, ricadono nei parametri del Nutriscore. Un controsenso sconsigliabile”.